Contenzioso

Il licenziamento ritorsivo può essere nullo

di Valeria Zeppilli

Il licenziamento ritorsivo, in alcuni casi, risulta nullo. Ciò avviene in particolare, secondo quanto rilevato dal Tribunale di Milano (sezione civile, settore lavoro, 18 novembre 2021, n. 2798), quando la ritorsione, diretta o indiretta che sia e di per sé comunque illecita, sia l'unico motivo ad aver determinato il recesso datoriale.

Ciò posto, occorre comprendere quando ci si trovi di fronte a un provvedimento espulsivo con natura ritorsiva. Chiaramente dipende dal caso concreto, ma per il giudice meneghino è indubbio che vi sia ritorsione nell'ipotesi, come quella di specie, in cui il licenziamento segua di poco la rivendicazione da parte del lavoratore della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di una diversa società individuata come datore di lavoro effettivo, l'addebito includa anche fatti risalenti nel tempo e il datore di lavoro, per sua stessa ammissione, abbia soprasseduto alle condotte che lo hanno portato poi a licenziare sino a che non ha ricevuto dal lavoratore la rivendicazione.

L'intento di rappresaglia è ancora più evidente se, in aggiunta a ciò, il datore di lavoro non sia in grado di introdurre elementi idonei a dimostrare i fatti contestati.

A tale ultimo proposito, il tribunale di Milano ha ricordato che, secondo un condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità, l'onere di provare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento è posto, dall'articolo 5 della legge 604/1966, inderogabilmente a carico del datore di lavoro e che tale inderogabilità implica, tra le altre cose, che il giudice non può, in proposito, avvalersi del criterio empirico di vicinanza della fonte di prova.

Tale criterio, infatti, può essere utilizzato esclusivamente se occorre dirimere una sovrapposizione tra fatti costitutivi e fatti estintivi, impeditivi o modificativi oppure quando la parte onerata della prova abbia assolto al proprio onere e sia l'altro a dover fornire la controprova per prossimità alla suddetta fonte onde inficiare la portata di quanto dimostrato.

Nel caso specifico del licenziamento disciplinare, il datore di lavoro deve essere in grado di dimostrare la sussistenza del comportamento contestato al lavoratore, eventualmente anche con presunzioni. Il lavoratore che nega di aver posto in essere il comportamento o la sua rilevanza, invece, deve provare eventuali fatti positivi contrari a quelli contestati o idonei ad attestare l'insussistenza della rilevanza disciplinare, fermo restando che l'onere probatorio grava sulla parte datoriale.

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