Contenzioso

Verbale di accertamento, sanzioni amministrative e obblighi contributivi

di Silvano Imbriaci

Una società riceve nel 2002 una cartella esattoriale con cui l'agente della riscossione per conto di Inps aveva ingiunto il pagamento di somme a titolo di violazioni contributive descritte in un verbale di accertamento ispettivo che era stato impugnato in base all’articolo 18 della legge 689/1981 (sanzioni amministrative) senza che l'Inps avesse proceduto alla richiesta di audizione personale del legale rappresentante o assunto i provvedimenti di archiviazione/ingiunzione.

Alcuni anni dopo la notifica della cartella esattoriale, la società conviene in giudizio l'agente della riscossone e l'Inps chiedendone l'annullamento (insieme agli atti conseguenti).

La Cassazione con la sentenza, Sez. Lav. 5 gennaio 2022, n. 183, viene chiamata a verificare la validità del titolo esecutivo formato sulla base di un procedimento amministrativo che non si era concluso né con ordinanza ingiunzione, né con archiviazione.

L'occasione è dunque buona per ribadire alcuni principi in materia di recupero dei crediti contributivi e distinzione tra le contestazioni delle pretese contributive Inps e contestazione degli illeciti amministrativi contenuti nello stesso accertamento.

La Corte sottolinea una prima differenza tra contestazione di sanzioni amministrative e recupero di crediti contributivi. Nel procedimento di riscossione a mezzo ruolo dei contributi previdenziali, come regolato dal Dlgs 46/1999, articoli 24 e seguenti, non si rinvengono espresse previsioni normative che condizionino la validità della riscossione ad atti presupposti, a differenza di quanto avviene in materia di applicazione di sanzioni amministrative. Mentre, infatti, l'obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione amministrativa si estingue per la persona nei cui confronti è stata omessa la notificazione nel termine prescritto (articolo 14, della legge 689/1981), la notifica al debitore di un avviso di accertamento non costituisce atto presupposto necessario del procedimento, la cui omissione invalidi il successivo atto di riscossione, ben potendo l'iscrizione a ruolo avvenire pur in assenza di un atto di accertamento da parte dell'istituto (cfr. Cass. 21 febbraio 2018, n. 4225; Cass. 10 febbraio 2009, n. 3269).

Inoltre, in tema di omissioni contributive, il Dlgs 46/1999, articolo 24, comma 1, nel prevedere espressamente che la riscossione dei contributi o premi dovuti agli enti previdenziali non versati dal debitore nei termini di legge ovvero di quelli dovuti a seguito di accertamento d'ufficio, ivi comprese le sanzioni e le somme aggiuntive, avviene mediante iscrizione a ruolo da effettuarsi entro i termini di decadenza previsti dal citato Dlgs 46, articolo 25, esclude l'applicabilità della procedura di cui alla legge 689/1981 e la necessità di atti prodromici per la validità della riscossione.

Dunque, ove sia stata proposta opposizione in sede amministrativa contro l'atto di accertamento ispettivo, l'ente previdenziale deve procedere all'iscrizione a ruolo anche se non sia intervenuta alcuna decisione in sede di gravame, senza che la mancata risposta dell'organo competente configuri un tacito accoglimento dell'opposizione o determini l'impossibilità di dare corso alla riscossione (Cass. 26 ottobre 2010, n. 1584). Non si può dunque affermare che l'impugnazione del verbale di accertamento si ponga quale atto presupposto e necessario rispetto al procedimento di formazione del ruolo (o dell'avviso di addebito dopo il 2011), nel senso che quest'ultimo può essere intrapreso dall’Inps anche in assenza di impugnazione del verbale di accertamento.

L'unico rimedio in possesso del contribuente per la contestazione del recupero dei crediti contributivi iscritti a ruolo o oggetto di un avviso di addebito è rappresentato dall'opposizione ex articolo 24 del Dlgs 46/1999, da proporre in un termine perentorio.

La decisione della Corte pone quindi ancora una volta una netta distinzione tra sanzioni amministrative e crediti contributivi, che, pur potendo essere originati da un medesimo accertamento in fatto circa violazioni o inadempimenti del soggetto ispezionato, percorrono una strada diversa per quanto riguarda la loro realizzazione, il loro recupero e infine la contestazione in sede amministrativa e giudiziaria da parte del destinatario del verbale. Del resto, questa distinzione è ben chiara anche nelle indicazioni più recenti fornite dall'Inl sul punto. Infatti, in sede di accertamento ispettivo la prospettiva unitaria adottata dal legislatore (il cosiddetto verbale unico: articolo 13 del Dlgs 124/2004) deve comunque misurarsi con la diversa natura delle risultanze ispettive, nel duplice esito possibile rappresentato da una parte dalla contestazione di illeciti amministrativi (il cui procedimento porta alla fase conclusiva mediante l'emissione di ordinanza ingiunzione da parte dell'autorità interessata) e dall'altra dalla verifica di omissioni contributive, con indicazione dei contributi recuperati e delle connesse sanzioni civili nei casi di legge.

L'Inl ha quindi chiarito (circolare 1/2019) che nel verbale conclusivo devono essere separati i due aspetti. La diversità degli ambiti comporta anche una diversificazione degli strumenti di tutela. Mentre le questioni contributive si risolvono nella verifica della sussistenza di obblighi di pagamento, con la possibilità dunque di attivare senza intermediazioni il contenzioso direttamente avverso le conclusioni del verbale, nel caso di illeciti amministrativi la tutela è diversa e più articolata, con strumenti limitati in fase amministrativa e tutela giudiziaria, come si è detto, limitata all'ordinanza ingiunzione finale.

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