Contenzioso

Fatto insussistente se tra più contestazioni almeno una parte non giustifica il licenziamento

di Antonella Iacobellis

La Corte di cassazione, con ordinanza 14667/2022, ha confermato la decisione con cui la Corte d’appello aveva ritenuto giustificato il licenziamento intimato a una dipendente alla quale, tra gli altri addebiti, era stata contestata l'aggressione verbale e fisica nei confronti del datore di lavoro, in presenza di terzi.

La Corte d’appello, in riforma della sentenza di primo grado, dopo approfondita disamina delle deposizioni testimoniali e delle risultanze dell'esame, tramite Ctu, delle celle telefoniche di alcuni testimoni, aveva ritenuto provati i fatti disciplinarmente rilevanti (e integranti, peraltro, reato e una delle fattispecie del contratto collettivo nazionale di lavoro applicato) e quindi legittimo il licenziamento disciplinare intimato alla lavoratrice:
– per attribuzione di dichiarazioni false alle colleghe in relazione all'integrità di un essiccatore utilizzato nell'ambito delle mansioni di addetta al laboratorio di analisi;
– per aggressione verbale e fisica del datore di lavoro in presenza di terzi.

A ciò si aggiunga che la corte territoriale aveva, peraltro, evidenziato che il clima di pregressa elevata conflittualità tra dipendente e datore di lavoro non poteva in ogni caso legittimare la prima a insultare apertamente e immotivatamente il datore di lavoro, con oggettivo disvalore aziendale, e che a fronte di ciò si constatava l'impossibilità di proseguire il rapporto di lavoro, essendo compromesso irrimediabilmente il vincolo fiduciario fra le parti.

Avverso tale decisione, la lavoratrice proponeva ricorso in Cassazione sostenuto da sette motivi a cui resisteva il datore di lavoro con controricorso. I giudici di legittimità trattavano congiuntamente i sette motivi in virtù della connessione logico giuridica degli stessi, confermando la decisione della corte territoriale, riconoscendo che quest'ultima aveva dedicato ampia e approfondita motivazione per illustrare le ragioni della sussistenza dei fatti contestati.Non potevano, pertanto, non ritenersi sussistenti sia la falsità delle giustificazioni rese dal lavoratore circa il primo addebito disciplinare contestato, sia l'aggressione (non solo verbale) nei confronti del datore di lavoro, di cui al secondo addebito disciplinare.

Con riguardo al primo episodio, si evidenziava «l'oggettiva modestia del disvalore intrinseco alla condotta posta in essere, ma con riguardo al secondo episodio si sottolineava come dallo stesso discendeva un «oggettivo disvalore aziendale» incompatibile con la prosecuzione del rapporto, essendo venuto meno quel vincolo fiduciario tra le parti che deve permeare l'intero rapporto di lavoro.In definitiva, nel contesto emerso, l'applicazione di sanzioni conservative non risultava adeguata a soddisfare gli opposti interessi, mentre il licenziamento era da ritenere proporzionato alla gravità dei complessivi fatti addebitati.

La Corte di legittimità concludeva ribadendo che:
– nel caso di licenziamento disciplinare intimato per una pluralità di distinti e autonomi comportamenti di cui solo alcuni dei quali risultino dimostrati, l’insussistenza del fatto si configura qualora possa escludersi la realizzazione di un nucleo minimo di condotte che siano astrattamente idonee a giustificare la sanzione espulsiva, o se si realizzi l'ipotesi dei fatti sussistenti ma privi del carattere di illiceità, ferma restando la necessità di operare, in ogni caso, una valutazione di proporzionalità tra la sanzione e i comportamenti dimostrati;
–nell'ipotesi di sproporzione tra sanzione e infrazione, va riconosciuta la tutela risarcitoria se la condotta dimostrata non coincida con alcuna delle fattispecie per le quali i contratti collettivi o i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione conservativa, ricadendo la proporzionalità tra le "altre ipotesi" di cui all'articolo 18, comma 5, della legge 300/1970, secondo cui: «Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo».

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