Contenzioso

Con il recesso dal contratto aziendale decadono le condizioni migliorative

di Marco Tesoro

È legittimo il recesso datoriale dal contratto aziendale e il conseguente mancato riconoscimento degli emolumenti retributivi aggiuntivi ivi previsti.
Così la Corte di cassazione, con la sentenza 14961/2022.

Per la Cassazione, il datore ha il diritto di recedere in qualsiasi momento dal contratto aziendale che non abbia una durata predeterminata, confermando altresì l'intangibilità dei soli diritti acquisiti dei lavoratori derivanti dalla precedente disciplina più favorevole.

Nel caso oggetto della sentenza, i lavoratori pretendevano il pagamento degli emolumenti retributivi aggiuntivi previsti da un contratto collettivo aziendale con riferimento al quale la società aveva notificato il recesso. In sede monitoria i lavoratori vedevano riconosciute le proprie ragioni, ma il Tribunale accoglieva le opposizioni proposte dalla società, con sentenza confermata in sede d'appello.

Per la Corte d’appello, a differenza dei contratti collettivi territoriali o nazionali, il contratto aziendale è sottoscritto dalle organizzazioni sindacali con il singolo datore di lavoro, con la conseguenza che quest'ultimo può sempre recedere da tale vincolo, rappresentando il recesso unilaterale una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, come nella fattispecie.

La Corte territoriale rilevava, altresì, che il mancato riconoscimento degli elementi retributivi aggiuntivi previsti dal contratto disdettato non violava il principio di giusta retribuzione, in quanto la tutela ex articolo 36 della Costituzione è riferibile alla retribuzione base e all'indennità di contingenza, non anche agli emolumenti aggiuntivi.

La Corte di cassazione, investita della questione, ha confermato il proprio orientamento sul tema, rigettando il ricorso dei lavoratori. L'assenza di un termine di durata non può mai comportare un vincolo contrattuale perpetuo, il quale andrebbe a vanificare la causa e la funzione sociale propria della contrattazione collettiva, la cui disciplina deve modellarsi su riferimenti temporali non eccessivamente dilatati perché finalizzata a regolare una realtà socio-economica in continua evoluzione.

In merito agli effetti del recesso, la Cassazione precisa che, in caso di disdetta del contratto aziendale, i diritti dei lavoratori derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole sono intangibili solo se già entrati nel patrimonio del lavoratore quale corrispettivo di una prestazione già resa, non rilevando a tal fine le «mere aspettative sorte alla stregua della precedente più favorevole regolamentazione».

Per i giudici di piazza Cavour, neppure la presunta natura normativa del contratto aziendale invocata dai ricorrenti – nonostante l'inestensibilità al contratto degli schemi e principi propri delle fonti legislative – giustificherebbe il congelamento del trattamento pregresso per il futuro, ciò in quanto «anche la cessazione degli effetti di una norma nei contratti di durata impedisce che essa possa continuare a trovare applicazione alla parte di rapporto che ricade nel vigore della regolazione successiva».

Infine, la Corte di legittimità rigetta anche la pretesa violazione del principio di irriducibilità della retribuzione, rilevando come il criterio della corrispettività, alla luce dell'articolo 36 della Costituzione, può fare riferimento ai soli minimi retributivi stabiliti per ciascuna qualifica dalla contrattazione collettiva, con esclusione delle componenti aggiuntive della retribuzione, nella fattispecie erogate per compensare modalità specifiche della prestazione.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©