Contenzioso

Rassegna di Cassazione

a cura di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci

Trasferimento di azienda in crisi
Licenziamento ritorsivo
Licenziamento per giusta causa
Licenziamento collettivo e criteri di scelta
Recesso unilaterale del contratto collettivo aziendale


Trasferimento di azienda in crisi

Cass. Sez. Lav., 12 maggio 2022, n. 15238

Pres. Raimondi; Rel. Patti; Ric. A. S.p.A.; Controric. N.G.; Int. e Ric. Succ. C. S.p.A.

Licenziamento collettivo – Criteri di scelta – Esigenze oggettive aziendali – Professionalità dei lavoratori – Comparazione – Mansioni attuali – Mansioni pregresse – Necessità

La selezione del personale in esubero deve avvenire sulla base di oggettive esigenze aziendali, tenuto conto della dotazione di professionalità specifiche, infungibili rispetto alle altre. A tal fine, devono essere considerate, qualora il lavoratore ciò deduca espressamente, anche le altre mansioni in precedenza svolte in diversi uffici aziendali, dovendo la nozione di fungibilità e di professionalità essere intesa con riferimento non soltanto alle mansioni attuali, ma anche quelle assolte presso altre unità, che abbiano reso il lavoratore idoneo anche per queste altre, per acquisita esperienza e per pregresso svolgimento, indipendentemente dal fatto che in concreto non siano più esercitate al momento del licenziamento.

Licenziamento collettivo – Allegazione dei criteri di scelta – Prova della corretta applicazione dei criteri di scelta – Onere sul datore di lavoro – Sussistenza – Illegittimità della scelta – Onere sul lavoratore – Sussistenza

In tema di licenziamento collettivo, mentre grava sul datore di lavoro l'onere di allegazione dei criteri di scelta e la prova della loro corretta applicazione, incombe al lavoratore dimostrare l'illegittimità della scelta, con indicazione dei lavoratori in relazione ai quali la stessa sarebbe stata falsamente o illegittimamente realizzata. Ciò con la conseguenza che, ove il datore di lavoro si sia limitato a comunicare criteri inidonei a consentire al lavoratore di contestare le scelte operate e di comparare la propria posizione con quella degli altri dipendenti che hanno conservato il posto di lavoro, nessun onere è ravvisabile in capo al lavoratore.Trasferimento d'azienda – Crisi aziendale – Amministrazione straordinaria – Accordi sindacali in deroga all'art. 47, L. 428/1990 – Deroghe alle condizioni di lavoro – Legittimità – Limitazione dei lavoratori da trasferire – Illegittimità In caso di trasferimento che riguardi aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ovvero per le quali sia stata disposta l'amministrazione straordinaria, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell'attività, l'accordo sindacale di cui all'art. 47, comma 4bis della L. 428/1990, può prevedere deroghe all'art. 2112 cod. civ. concernenti le condizioni di lavoro, fermo restando il trasferimento dei rapporti di lavoro al cessionario.

NOTA

La Corte d'Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava illegittimo per violazione dei criteri di scelta il licenziamento intimato al lavoratore nell'ambito di una procedura di licenziamento collettivo e condannava la società datrice di lavoro (C. S.p.A.) alla reintegrazione e al pagamento di un'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, soggetta a contributi previdenziali e assistenziali. In particolare, la Corte d'Appello accertava come, nell'applicazione dei criteri di scelta, la società avesse erroneamente computato l'anzianità di servizio maturata dal lavoratore. Inoltre, la Corte d'Appello, in conseguenza della disposta reintegrazione, ordinava il trasferimento del lavoratore alla società cessionaria (A. S.p.A.), in applicazione dell'art. 2112 cod. civ., «nei termini e con le limitazioni previste dall'accordo sindacale sul mantenimento, anche parziale dell'occupazione».A. S.p.A. e, successivamente, C. S.p.A. proponevano ricorso per Cassazione.C. S.p.A. deduceva, inter alia, la violazione e falsa applicazione degli accordi sindacali stipulati nell'ambito della procedura di licenziamento collettivo, nonché degli artt. 4 e 5, L. 223/1991, per avere la Corte d'Appello (i) interpretato tali accordi in modo erroneo (ignorando che dagli stessi risultasse una chiara indicazione dei criteri di scelta del personale in esubero, con relativo elenco, indicazione nominativa e specificazioni idonee ad esplicitare la scelta di ognuno dei licenziandi), (ii) errato nel ritenere necessaria la comparazione tra i lavoratori con profili professionali fungibili, avendo gli esuberi investito trasversalmente l'intero complesso aziendale.La Corte di Cassazione ritiene il motivo infondato, ribadendo il proprio consolidato orientamento secondo cui la scelta del personale in esubero deve avvenire sulla base di oggettive esigenze aziendali, tenuto conto della dotazione di professionalità specifiche, infungibili rispetto alle altre (in tal senso, Cass. 17177/2013; Cass. 203/2015; Cass. 19105/2017; Cass. 32387/2019; Cass. 12040/2021), e – a tal fine – devono essere considerate, qualora il lavoratore ciò deduca espressamente, anche le altre mansioni in precedenza svolte in diversi uffici aziendali, dovendo la nozione di fungibilità e di professionalità essere intesa con riferimento non soltanto alle mansioni attuali, ma anche quelle assolte presso altre unità, che abbiano reso il lavoratore idoneo anche per queste altre, per acquisita esperienza e per pregresso svolgimento, indipendentemente dal fatto che in concreto non siano più esercitate al momento del licenziamento collettivo (in tal senso, Cass. 9888/2006; Cass. 2284/2018). Ebbene, nel caso in esame la Corte d'Appello aveva correttamente rilevato come, a fronte delle puntuali deduzioni sul punto da parte del lavoratore, la società nulla avesse replicato.Con un ulteriore motivo di ricorso, C. S.p.A. eccepiva la violazione e falsa applicazione dell'art. 5, comma 3, L. 223/1991, in riferimento all'art. 18, commi quarto e settimo, L. 300/1970, in ragione della mancata allegazione da parte del lavoratore del risultato vantaggioso conseguibile con l'impugnazione, non avendo puntualmente specificato quali colleghi, con posizioni fungibili, sarebbero stati licenziati al suo posto in caso di corretta applicazione dei criteri di scelta.La Corte di Cassazione rigetta anche questo motivo di ricorso, ribadendo come in tema di licenziamento collettivo, mentre grava sul datore di lavoro l'onere di allegazione dei criteri di scelta e la prova della loro corretta applicazione, incombe al lavoratore dimostrare l'illegittimità della scelta, con indicazione dei lavoratori in relazione ai quali la stessa sarebbe stata falsamente o illegittimamente realizzata. Ciò con la conseguenza che, ove il datore di lavoro si sia limitato a comunicare criteri inidonei a consentire al lavoratore di contestare le scelte operate e di comparare la propria posizione con quella degli altri dipendenti che hanno conservato il posto di lavoro, nessun onere è ravvisabile in capo al lavoratore (in senso conforme, Cass. 27165/2009; Cass. 27059/2013; Cass. 31870/2018). La Corte d'Appello aveva fatto corretta applicazione di questo principio di diritto.Quanto ai motivi di ricorso dedotti da A. S.p.A., quest'ultima eccepiva, inter alia, la violazione e falsa applicazione dell'art. 47, comma 4bis, L. 428/1990, nonché degli accordi sindacali intervenuti, in deroga all'art. 2112 cod. civ., nell'ambito di una situazione di crisi.Anche questo motivo di ricorso è ritenuto infondato. In particolare, la Suprema Corte ritiene la sentenza della Corte d'Appello conforme al principio di diritto secondo cui qualora vi sia un trasferimento che riguardi aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ovvero per le quali sia stata disposta l'amministrazione straordinaria, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell'attività, l'accordo sindacale di cui all'art. 47, comma 4bis della L. 428/1990, può prevedere deroghe all'art. 2112 cod. civ. concernenti le condizioni di lavoro, fermo restando il trasferimento dei rapporti di lavoro al cessionario. Ciò in quanto la locuzione, contenuta del predetto comma 4bis, «Nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell'occupazione, l'articolo 2112 del codice civile trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall'accordo medesimo», va letta in conformità al diritto dell'Unione europea ed alla interpretazione che dello stesso ha fornito la Corte di giustizia, 11 giugno 2009, causa C-561/07, nel senso che gli accordi sindacali non possono disporre dell'occupazione preesistente al trasferimento d'azienda (in senso conforme, Cass. nn. 10414 e 10415 del 2020; Cass. nn. 17193, 17194, 17195, 17198, 17199, 17201 del 2020; Cass. 33154/2021).

Licenziamento ritorsivo

Cass. Sez. Lav., 12 maggio 2022, n. 15218

Pres. Raimondi; Rel. Amendola; Ric. L.A.; Contr. A. S.p.A.

Violazione delle procedure aziendali – Condotta dolosa e ripetuta – Lesione del vincolo fiduciario – Licenziamento – Giusta causa – Sussistenza – Licenziamento ritorsivo – Motivo illecito – Requisiti – Esclusivo e determinante – Necessità

In tema di licenziamento nullo perché ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art. 1345 cod. civ. deve essere determinante, cioè costituire l'unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale.

NOTA

La Corte di Appello di Roma, in riforma della pronuncia del Tribunale di Civitavecchia, dichiarava la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore che non aveva rispettato – dolosamente e ripetutamente – le procedure di sicurezza indicate dall'azienda datrice di lavoro per l'utilizzo del personal computer.La Corte territoriale, in particolare, riteneva la sanzione disciplinare inflitta al dipendente del tutto proporzionata rispetto alla condotta contestatagli in quanto il suo comportamento aveva assunto, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo, quella connotazione di gravità tale da giustificare la sanzione del licenziamento per giusta causa. La Corte aveva, infatti, accertato la dolosa – tenuto conto del numero delle violazioni compiute dal lavoratore e dalle plurime operazioni compiute senza alcuna autorizzazione – mancata osservanza di quelle direttive impartite a monte dal datore di lavoro, mediante le procedure di sicurezza dirette a prevenire gravi disservizi e minacce al sistema informatico.Per la cassazione di tale sentenza il dipendente ha proposto ricorso affidato a tre motivi di censura lamentando, in particolare, la nullità del licenziamento in quanto ritorsivo e criticando l'apprezzamento dei giudici di appello in ordine alla proporzionalità della sanzione disciplinare. La Cassazione, per quel che rileva, anzitutto richiama il principio di cui in massima in tema di licenziamento ritorsivo, aggiungendo che «poiché il motivo illecito determina la nullità del licenziamento solo quando il provvedimento espulsivo sia stato determinato esclusivamente da esso, la nullità deve essere esclusa quando con lo stesso concorra, nella determinazione del licenziamento, un motivo lecito, come una giusta causa a norma dell'art. 2119 c.c.».Con riferimento al caso di specie, pertanto, ritiene infondata l'asserita ritorsività del licenziamento essendo stata provata in giudizio la sussistenza della giusta causa alla base dello stesso.In merito alla lamentata sproporzione della sanzione disciplinare, la Suprema Corte, anzitutto, rileva che il lavoratore – pur denunciando una violazione di legge – in realtà sottopone al giudizio della Cassazione una rivisitazione del merito, preclusa in sede di legittimità ed il cui dominio è istituzionalmente riservato ai giudici di merito. Ritiene, in ogni caso, che «non assuma valore decisivo anche il mancato riferimento nella sentenza impugnata alla contrattazione collettiva, atteso che, pacificamente, la tipizzazione in essa contenuta non è vincolante, spettando al giudice la valutazione di gravità del fatto e della sua proporzionalità rispetto alla sanzione irrogata dal datore di lavoro».Conclusivamente, la Cassazione rigetta il ricorso del lavoratore con condanna alle spese di lite.

Licenziamento per giusta causa

Cass. Sez. Lav., 10 maggio 2022, n. 14760

Pres. Raimondi; Rel. Cinque; P.M. Mucci; Ric. B.B.; Contr. D. S.r.l.

Licenziamento – Giusta causa – Uso indebito della carta fedeltà da parte della cassiera – Legittimità – Proporzionalità – Valutazione – Comportamenti futuri – Rilevanza – Tenuità del danno economico – Irrilevanza

Deve essere confermata la legittimità del licenziamento per giusta causa della cassiera che abbia utilizzato più volte nella stessa giornata e in modo indebito, durante il proprio turno di lavoro, la tessera fedeltà, così accumulando illecitamente punti poi utilizzati per pagare la propria spesa, e, peraltro, erogando sconti non dovuti a clienti non aderenti al programma fedeltà. Siffatta condotta è certamente grave e tale da ledere, in modo irreversibile, il rapporto fiduciario con l'azienda, anche sotto il profilo della proporzionalità della sanzione, indipendentemente dal valore dei beni acquistati personalmente dalla dipendente.

NOTA

La Corte d'Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale all'esito della fase di opposizione, rigettava la domanda proposta dalla lavoratrice nei confronti della società datrice di lavoro, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatole. La società datrice, in particolare, aveva contestato alla dipendente con mansioni di cassiera di aver indebitamente utilizzato in più occasioni una tessera fedeltà (specificamente individuata), nel corso di transazioni effettuate con clienti privi di tale tessera, per pagare poi i suoi acquisti personali ed erogare sconti non dovuti a clienti non aderenti al programma, mediante i cc.dd. punti fedeltà così illecitamente accumulati.Avverso la sentenza d'appello ha promosso ricorso per cassazione la lavoratrice, contestando, inter alia, la decisione perché la corte territoriale avrebbe omesso il giudizio di proporzionalità tra gli addebiti ed il licenziamento.La Corte di Cassazione ritiene la censura infondata e rigetta il ricorso.La Suprema Corte rileva, infatti, che i fatti accertati erano stati ritenuti gravi dalla Corte territoriale, tenuto anche conto delle mansioni di cassiera svolte dalla dipendente, e tali da ledere in modo irreversibile il rapporto fiduciario «indipendentemente dal valore dei beni acquistati personalmente dalla dipendente», e ciò anche con riguardo all'aspetto della proporzionalità della sanzione espulsiva.Rileva, del resto, la Suprema Corte che la proporzionalità della sanzione espulsiva è stata valutata dalla corte territoriale «anche ai fini della prognosi futura di comportamenti improntati al rispetto e alla correttezza degli obblighi aziendali discendenti dal particolare rapporto di lavoro esistente tra le parti».La Corte di Cassazione ribadisce, infine, che tale giudizio di proporzionalità costituisce un «tipico accertamento del giudice di merito», insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato e logicamente corretto (Cass. 26010/2018).

Licenziamento collettivo e criteri di scelta

Cass. Sez. Lav., 16 maggio 2022, n. 15598

Pres. Tria; Rel. Pagetta; P.M. Fresa; Ric. I.P.S.A.; Controric. S.A.

Licenziamento collettivo – Criteri di scelta – Ambito di applicazione – Singolo reparto/unità – Ragioni tecniche o organizzative – Comparazione tra lavoratori di professionalità equivalente addetti ad altre unità produttive – Necessità

In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti a tale reparto solo sulla base di oggettive esigenze aziendali. Poiché la comparazione delle diverse posizioni dei lavoratori deve essere effettuata nel rispetto del principio di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti al reparto impattato se detti lavoratori sono idonei ad occupare posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti.

NOTA

La fattispecie oggetto del giudizio riguarda una procedura di riduzione del personale ai sensi della legge 223/1991 e l'applicabilità dei criteri di scelta per individuare la platea dei lavoratori da licenziare.In particolare, la Corte di Appello di Bologna, confermando la sentenza di primo grado, rigettava il reclamo proposto dalla società datrice di lavoro, avente ad oggetto l'annullamento del licenziamento intimato nell'ambito della procedura di licenziamento collettivo e di condanna alla reintegrazione del lavoratore e al pagamento di un'indennità risarcitoria nella misura di dodici mensilità, oltre che al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegra.La Corte territoriale, confermava, infatti, la valutazione del giudice di primo grado in ordine alla illegittimità della limitazione della platea dei licenziandi ai soli addetti al servizio soppresso, occorrendo verificare se tali lavoratori fossero o meno in possesso di professionalità equivalenti a quella di dipendenti utilizzati in altre realtà organizzative della società.Avverso tale decisione il datore di lavoro ha proposto ricorso per Cassazione.La Suprema Corte ritiene immune da vizi l'iter argomentativo della Corte territoriale.Sul punto la Corte di Cassazione precisa, infatti, che nell'ambito di una procedura di riduzione del personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale riguardi solamente un'unità produttiva o un dipartimento dell'azienda, la platea dei lavoratori interessati deve essere individuata sulla base di oggettive esigenze aziendali riguardanti progetto di ristrutturazione aziendale. Tuttavia, per individuare i lavoratori da licenziare, la comparazione delle diverse posizioni lavorative deve essere effettuata nel rispetto del principio di buona fede e correttezza. Di conseguenza, osserva la Suprema Corte, il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti al reparto impattato se questi sono idonei – per pregresso svolgimento della propria attività all'interno dell'azienda – ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti. La Corte specifica altresì che ai fini della valutazione di tale idoneità, occorre fare riferimento a quel complesso costituito di conoscenze, attitudini, competenze del lavoratore in grado di differenziare o omologare qualitativamente le professionalità rispetto alla mera differenza delle mansioniPertanto la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Recesso unilaterale del contratto collettivo aziendale

Cass. Sez. Lav. 11 maggio 2022, n. 14961

Pres. Raimondi; Rel. Esposito; P.M. Mucci, Ric. B.P. +12; Controric. S. S.p.A.

Contratto collettivo – Durata a tempo indeterminato – Recesso unilaterale del datore di lavoro– Legittimità

Qualora il contratto collettivo non abbia un predeterminato termine di efficacia, non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, perché finirebbe in tal caso per vanificarsi la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione, sicché a tale contrattazione ve estesa la regola, di generale applicazione nei negozi privati, secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, che risponde all'esigenza di evitare – nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell' esecuzione del contratto – la perpetuità del vincolo obbligatorio. Ne consegue che, in caso di disdetta del contratto, i diritti dei lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole, sono intangibili solo in quanto siano già entrati nel patrimonio del lavoratore quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita, e non anche quando vengano in rilievo delle mere aspettative sorte alla stregua della precedente più favorevole regolamentazione.

NOTA

La sentenza in commento concerne la richiesta di differenze retributive da parte di un numero di lavoratori in ragione di emolumenti aggiuntivi previsti da un accordo collettivo aziendale dal quale la società datrice di lavoro aveva dichiarato di voler recedere.In particolare, la Corte d'appello di Ancona, confermando le sentenze dei giudici di prime cure (delle diverse cause, successivamente riunite), affermava che il datore di lavoro può recedere unilateralmente dal contratto aziendale, in quanto parte dello stesso insieme alle organizzazioni sindacali. Infatti, osservava la Corte territoriale, il recesso unilaterale rappresenta causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato e nel caso di specie, il contratto aziendale doveva considerarsi a tempo indeterminato, poiché, pur avendo un termine di durata, era stato applicato spontaneamente dalle parti contraenti dopo lo spirare del termine e non era prevista alcuna rinnovazione tacita. In aggiunta, la Corte d'appello di Ancona chiariva che la mancata corresponsione degli emolumenti aggiuntivi previsti dal contratto collettivo aziendale non dava luogo alla violazione del principio costituzionale della giusta retribuzione – poiché la tutela di cui all'art. 36 Cost. comprende solo la retribuzione base, integrata dalla indennità di contingenza – e che doveva escludersi anche la violazione del principio della irriducibilità della retribuzione, in quanto non sussisteva più la ragione giustificatrice delle indennità previste dalla contrattazione aziendale.Avverso tale sentenza proponevano ricorso i lavoratori, innanzitutto fornendo una diversa interpretazione in tema di cessazione e recesso dal contratto collettivo aziendale e affermando così l'illegittimità o l'inefficacia del recesso datoriale rispetto a diritti accessori e prestazioni integrative che rivestirebbero il carattere di diritti quesiti non suscettibili di modifica nel tempo.La Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, rigetta tali motivi di ricorso dei lavoratori, richiamando il proprio orientamento consolidato in tema di contrattazione collettiva e recesso, secondo il quale in assenza di un termine di efficacia del contratto collettivo lo stesso non può in ogni caso vincolare per sempre tutte le parti contraenti. Infatti, torva applicazione la regola, di generale applicazione nei negozi privati, secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, che risponde all'esigenza di evitare – nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto – la perpetuità del vincolo obbligatorio. Diversamente, interpretando, cioè, come perpetuo il vincolo derivante da un contratto collettivo privo di termine, si vanificherebbe la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva che deve parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione.Alla luce di tale orientamento – prosegue la Suprema Corte – « in caso di disdetta del contratto, i diritti dei lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole, sono intangibili solo in quanto siano già entrati nel patrimonio del lavoratore quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita e non anche quando vengano in rilievo delle mere aspettative sorte alla stregua della precedente più favorevole regolamentazione».Inoltre, i lavoratori lamentavano altresì l'erroneità della decisione della Corte d'appello in punto di irriducibilità della retribuzione, con riguardo a elementi retributivi già introdotti dalla contrattazione aziendale a compenso di specifici aggravamenti della prestazione lavorativa. La Corte di Cassazione disattende anche tale motivo di ricorso ricordando che il principio di corrispettività e giusta retribuzione statuito dall'art. 36 Cost. non può mai ricomprendere componenti aggiuntive della retribuzione erogate per compensare modalità specifiche della prestazione.Pertanto la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©