Contenzioso

Versamento del Tfr alla previdenza complementare: alle sezioni unite la questione della cessione di credito o delegazione di pagamento

di Silvano Imbriaci

Non riesce ancora a trovare soluzioni certe la questione della natura del versamento del Tfr ai fondi di previdenza complementare: la cassazione, con tre ordinanze interlocutorie (17699, 17700, 17704 del 31 maggio 2022) ritiene infatti necessario affrontare la questione in pubblica udienza, a fronte della complessità della materia e dell'assenza di orientamenti univoci della Corte di legittimità su temi controversi.

Di recente, la vicenda della natura dei conferimenti alla previdenza integrativa aveva dato occasione a vari interventi interpretativi (anche delle sezioni unite: si veda 16084/2021), nei quali però non sembrava scalfito l'orientamento prevalente, nel senso di assegnare a tali versamenti natura previdenziale e non retributiva, destinati cioè alla sfera di protezione assicurata dall'articolo 38 della Costituzione in ragione del concorso alla realizzazione dell'obiettivo dell'adeguatezza dei mezzi per il soddisfacimento delle esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia, disoccupazione involontaria.

Tuttavia, il tema si ripropone, a fronte di controversie derivanti dalla mancata ammissione nello stato passivo del datore di lavoro, per difetto di legittimazione passiva, del credito rivendicato da lavoratori, relativo al Tfr non versato (o comunque versato solo in parte) a un fondo di previdenza complementare. La mancata ammissione deriva in prima battuta da quell'orientamento giurisprudenziale maggioritario che ricostruisce il fenomeno del conferimento delle somme al fondo di previdenza nei termini di una cessione del relativo diritto, a fronte dell'acquisizione del diverso diritto alla prestazione pensionistica in luogo del Tfr. Ciò in conformità con il meccanismo dell'intervento del Fondo di garanzia Inps (articolo 5 del Dlgs 80/1992) che prevede la corresponsione delle quote di Tfr, non versate dal datore di lavoro, direttamente al fondo pensione e non al lavoratore, con surroga da parte del fondo al lavoratore per l'equivalente dei contributi omessi.

L'ammissione diretta al passivo su istanza del lavoratore comporterebbe, infatti, una inammissibile monetizzazione anticipata dell'accumulo previdenziale in contrasto con la ratio e le previsioni del Dlgs 252/2005 (previdenza complementare), che limitano in via del tutto eccezionale le anticipazioni al verificarsi di fattispecie tipiche ed espressamente previste.

La Cassazione, tuttavia, con le ordinanze interlocutorie del 31 maggio, non si accontenta di questa interpretazione e ritiene che vi siano vari motivi per un approfondimento in pubblica udienza della questione. Posto che la giurisprudenza è concorde nel ritenere quanto meno improprio il termine conferimento utilizzato dall'articolo 8, comma 1, del Dlgs 202/2005 ai fini di una individuazione della natura giuridica dei versamenti, vale in ogni caso, qualunque sia la tesi prescelta, il principio della libertà di selezione dello strumento negoziale, dovendosi accertare di volta in volta se si sia voluto dare luogo a una delegazione di pagamento o a una cessione.

Nel primo caso (delegazione di pagamento) rimane ferma la legittimazione attiva del lavoratore a insinuarsi per i versamenti non effettuati: il Tfr è un credito del lavoratore e le quote accantonate partecipano della natura retributiva anche quando siano destinate a non rimanere presso il datore di lavoro, per diventare esigibili alla cessazione del rapporto di lavoro (si veda Cassazione 24510/2021).

Nel secondo caso (cessione di pagamento) la giurisprudenza ritiene che le regole civilistiche in materia di delegazione e potestà di revoca siano incompatibili con la disciplina dei fondi pensione: non è infatti consentita la revoca ma solo la cessazione della posizione per il venir meno dei presupposti (Cassazione 2406/2022). I versamenti da parte delle aziende hanno natura contributiva e il lavoratore, mentre può sollecitare il versamento delle somme, non può chiedere la restituzione degli importi trattenuti.

Secondo le ordinanze interlocutorie, vi sono molteplici dubbi nell'applicazione di questo ultimo orientamento, sia pure consolidato, essendo forse più corretto lasciare al giudice la verifica dello strumento negoziale utilizzato per il conferimento: nel sistema della previdenza integrativa non vi è automaticità, per cui non vi è uno stretto nesso tra prestazioni e versamento tale da impedire in concreto l'intervento diretto del lavoratore in caso di omesso versamento di tali somme da parte del datore di lavoro. In ogni caso, poi, per integrare i contributi omessi, il lavoratore ha la facoltà di chiedere l'intervento del fondo di garanzia, ma solo quando sia stato infruttuoso l'esercizio del diritto da parte del lavoratore stesso (Circolare Inps 23/2008).

È quindi del tutto ragionevole un supplemento di riflessione sulla materia, anche per superare il contrasto giurisprudenziale di cui si è detto, con soluzioni diverse e dense di implicazioni e conseguenze teoriche e soprattutto pratiche.

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