Contenzioso

Rassegna di Cassazione

di a cura di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci

Licenziamento disciplinare
Licenziamento per giusta causa
Licenziamento per giusta causa
Sanzione disciplinare per comportamenti lesivi della dignità della persona
Contrattazione collettiva e adesione implicita

Licenziamento disciplinare

Cass. Sez. Lav., 10 giugno 2022, n. 18872

Pres. Doronzo; Rel. Ponterio; Ric. C.G.; Contr. E. S.p.A.

Licenziamento disciplinare – Giusta causa – Tipizzazione della contrattazione collettiva – Rilevanza – Sussunzione della condotta datoriale – Interpretazione del giudice – Valutazione sulla gravità della condotta – Sussistenza

In tema di giusta causa la scala valoriale recepita dai contratti collettivi costituisce uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell'art. 2119 cod. civ. e al giudice è demandato di interpretare la fonte negoziale e verificare la sussumibilità del fatto contestato nella previsione collettiva anche attraverso una valutazione di maggiore o minore gravità della condotta.

NOTA

La Corte di Appello di Napoli confermava la sentenza di primo grado con la quale era stata respinta la domanda di illegittimità del licenziamento per giusta causa avanzata da un lavoratore nei confronti della società datrice di lavoro.Al dipendente, in particolare, era stato contestato di aver rimosso due contatori di energia elettrica, recanti segni di manomissione e quindi inidonei alla genuina misurazione dei consumi, senza effettuare le segnalazioni prescritte dalle procedure aziendali e senza dare comunicazione alla struttura gerarchica delle manomissioni palesemente visibili. La Corte di merito, accertata la condotta contestata, riteneva la sanzione espulsiva proporzionata alla gravità della condotta sul rilievo che l'omessa segnalazione della rottura dolosa dei tenoni di chiusura dei misuratori, e quindi della inidoneità di questi a registrare i consumi, fosse idonea a ledere in modo irreparabile il rapporto fiduciario tra le parti. In particolare, la Corte territoriale considerava irrilevante la mancata prova del grave pregiudizio in danno dell'azienda, richiesto dall'art. 25 CCNL di riferimento quale condizione di punibilità nel caso di «mancate segnalazioni di guasti alle macchine e/o impianti o di irregolarità del servizio», poiché riteneva che, nel caso di specie, non si fosse di fronte ad una irregolarità oppure ad un guasto, bensì, ad una dolosa manomissione, idonea ad impedire la registrazione dei consumi, quindi ad un'ipotesi ben più grave e tale da far venir meno la fiducia dell'azienda nei confronti del lavoratore; ipotesi contemplata dall'art. 25, lett. f) del CCNL tra quelle punibili con il licenziamento con preavviso. Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a nove motivi, sostenendo, in particolare, che i fatti contestati dovevano essere ricondotti alla previsione di cui all'art. 25, lett. e) del CCNL che punisce con la sanzione conservativa il lavoratore che «non provveda tempestivamente alle dovute segnalazioni o incombenze in caso di guasti alle macchine e agli impianti o di irregolarità nell'andamento del servizio».La Suprema Corte, per quel che rileva, dopo aver richiamato il principio di cui in massima in ordine al potere di interpretazione e di verifica del giudice nell'ambito di un licenziamento disciplinare, ritiene che la medesima condotta di mancata segnalazione, di cui all'art. 25 citato, è considerata punibile con la sanzione del licenziamento con preavviso solo ove arrechi "grave pregiudizio all'Azienda", pertanto – secondo la Corte – nella scala valoriale adottata dal contratto collettivo di categoria la condotta negligente del lavoratore che abbia omesso le dovute segnalazioni è sanzionata con il licenziamento (con preavviso), a condizione che abbia provocato un pregiudizio all'Azienda che sia qualificato come "grave".La Cassazione considera, quindi, errato l'iter-logico giuridico seguito dai giudici di merito per aver ritenuto che il carattere doloso della manomissione non segnalata avesse fatto venir meno l'affidamento nella correttezza dell'operato del dipendente, e quindi avesse giustificato la massima sanzione espulsiva, in tal modo trasferendo sul lavoratore le caratteristiche negative di una condotta attribuibile esclusivamente a terzi. Conclusivamente, la Suprema Corte afferma che «a causa di tale errore di prospettiva, i giudici di appello hanno escluso la sussumibilità della condotta del lavoratore nelle previsioni contrattuali relative all'omessa segnalazione di guasti e irregolarità ed hanno giudicato irrilevante sia l'elemento soggettivo della condotta del lavoratore, di negligenza, e sia l'assenza di un grave pregiudizio per la società" e che "tale errore di impostazione porta a ritenere integrato il vizio di violazione delle norme di diritto denunciate e del contratto collettivo sub specie di errore di sussunzione, per avere la Corte territoriale negato la riconducibilità della condotta contestata alle previsioni contrattuali relative alla omessa segnalazione di guasti e irregolarità dando peso dirimente ad un elemento estraneo alla condotta del lavoratore (la manomissione dei contatori ad opera di terzi) ed attribuendo a tale elemento la capacità di oscurare, fino a renderli del tutto irrilevanti, i requisiti che le parti collettive hanno individuato come significativi dei diversi livelli di inadempimento da parte dei lavoratori».Conseguentemente, la Cassazione cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d'Appello di Napoli in diversa composizione.

Licenziamento per giusta causa

Cass. Sez. Lav., 14 giugno 2022, n. 19181

Pres. Raimondo; Rel. Amendola; P.M. Mucci; Ric A. S.r.l.; Controric. G.A.

Licenziamento per giusta causa – Tipizzazioni del CCNL – Proporzionalità – Valutazione del giudice – Necessità

n tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, non è vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità̀ della condotta nell'attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie

NOTA

La fattispecie sottoposta al vaglio della Suprema Corte attiene al licenziamento per giusta causa intimato ad un dipendente che, secondo la contestazione della società datrice di lavoro, aveva (i) sottratto un documento riservato previo ingresso in un ufficio privato dell'azienda; (ii) sventolato tale documento ai colleghi diffondendo notizie non veritiere in merito; (iii) degenerato in urla e biasimi diffondendo malumore e stupore.All'esito del procedimento ex L. n. 92/2012, la Corte d'Appello di Genova, in riforma alla sentenza di primo grado, accertava l'illegittimità del licenziamento. In particolare, la Corte ha considerato non provate né la sottrazione di un documento riservato, né la diffusione di notizie non veritiere. Mentre, rispetto alla terza condotta, accertata giudizialmente, ha ritenuto che non fosse di gravità tale da giustificare il licenziamento, tenuto conto del fatto che la contrattazione collettiva di riferimento (CCNL metalmeccanici artigiani) non contempla le condotte poste in essere dal lavoratore tra le mancanze che giustificano il licenziamento e comunque che esse risultano oggettivamente meno gravi rispetto ad altre condotte per cui il CCNL prevede la massima sanzione. La Corte ha quindi dichiarato il licenziamento sproporzionato e, dunque, illegittimo in quanto carente di giusta causa.Avverso tale decisione proponeva ricorso la società datrice di lavoro.La Corte di Cassazione, innanzitutto, dopo aver chiarito che l'apprezzamento della gravità dei fatti contestati, ai fini dell'integrazione della giusta causa e della proporzionalità del licenziamento, comporta valutazioni che spettano al giudice di merito, dichiara inammissibili i relativi motivi di ricorso.E respinge anche il motivo di ricorso con cui la società datrice di lavoro invoca il principio per il quale la giusta causa di licenziamento è nozione legale e il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo. A parere della Suprema Corte, la Corte di Genova si è attenuta al principio per cui il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta rientra nell'attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie ed al fatto che l'elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha valenza meramente esemplificativa, non precludendo un'autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all'idoneità di un grave inadempimento o di un grave comportamento del lavoratore a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore. Infatti, secondo la Cassazione, nel caso di specie, la Corte territoriale ha seguito un percorso metodologicamente corretto, avendo preliminarmente scrutinato le previsioni della contrattazione collettiva, ha escluso che i fatti, così come ritenuti accertati, fossero previsti dalla stessa come punibili con la massima sanzione espulsiva e ha valutato che in tutte le circostanze del caso concreto non fossero ravvisabili gli estremi della giusta causa di recesso secondo i canoni legali.La Corte di Cassazione, pertanto, rigetta il ricorso.

Licenziamento per giusta causa

Cass. Sez. Lav., 7 giugno 2022, n. 18334

Pres. Raimondi; Rel. Patti; P.M. Visonà; Ric. M.C.; Contr. A. S.p.a.

Giusta causa – Proporzionalità – Riconducibilità al CCNL – Non vincolatività – Valutazione della condotta – Necessità – Lesione del vincolo fiduciario – Rilevanza

Ai fini della valutazione della proporzionalità del licenziamento per giusta causa è insufficiente un'indagine che si limiti a verificare se il fatto addebitato sia riconducibile alle disposizioni della contrattazione collettiva che consentono l'irrogazione del licenziamento, essendo sempre necessario valutare in concreto se il comportamento tenuto, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la prosecuzione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, con particolare attenzione alla condotta del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti e a conformarsi ai canoni di buona fede e correttezza.

NOTA

La Corte d'Appello di Genova, confermando la sentenza del Tribunale, riteneva legittimo il licenziamento per giusta causa intimato da un'azienda di trasporti al lavoratore addetto alla verifica dei titoli di viaggio. L'azienda aveva contestato al lavoratore di aver elevato un verbale di contravvenzione ad una passeggera, utilizzando la copia di altro verbale redatto il giorno prima, con alterazione dolosa dei dati anagrafici e dei documenti rilevati, e di essersi appropriato della somma di € 40,00 ricevuta dalla medesima passeggera per oblazionare la contravvenzione, senza annotare sul verbale la sanzione applicata. La Corte territoriale, in particolare, ha ritenuto proporzionata la sanzione, per la gravità della condotta del lavoratore e i suoi precedenti disciplinari.Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, contestando, inter alia, la decisione impugnata per la ritenuta sproporzione della sanzione espulsiva rispetto alla condotta, sostenendo di aver provveduto al pronto versamento della somma ricevuta dalla passegera, e che si sarebbe trattato di un errore e non di una deliberata volontà di falsificazione del verbale di contravvenzione.La Corte di Cassazione ritiene la censura infondata e rigetta il ricorso.La Suprema Corte ribadisce il proprio orientamento in materia di licenziamento per giusta causa secondo il quale, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, «rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante in tal senso la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento, denotando scarsa inclinazione all'attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza» Ribadisce poi la Corte di Cassazione che «spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell'addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro, attribuendo rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all'intensità dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all'assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo» (Cass. 13 dicembre 2012, n. 2013). La Corte di Cassazione, confermato quindi il principio indicato nella massima (già espresso da Cass. 5 luglio 2019, n. 18195 e Cass. 1 luglio 2020, n. 13411), precisa infine che la valutazione di proporzionalità della sanzione disciplinare alla gravità dei fatti contestati, riguardante le ragioni che in sede di irrogazione della sanzione abbiano indotto il datore a ritenere grave la condotta del dipendente, appartiene al giudice del merito, «il cui apprezzamento di legittimità e congruità della sanzione applicata, se sorretto da adeguata e logica argomentazione, si sottrae a censure in sede di legittimità» (Cass. 8 gennaio 2008, n. 144; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1788; Cass. 25 maggio 2012, n. 8293; 26 settembre 2018, n. 23046). E tale valutazione – ritiene la Corte di Cassazione – è stata congruamente argomentata dalla corte territoriale nel caso di specie ai fini della (affermata) proporzionalità della sanzione esplusiva rispetto alla condotta del lavoratore.

Sanzione disciplinare per comportamenti lesivi della dignità della persona

Cass. Sez. Lav., 13 giugno 2022, n. 18992

Pres. Esposito; Rel. Bellè; Ric. P.P.; Controric. I.N.P.S.

Dirigente amministrativo – Sanzione disciplinare – Sospensione dal servizio e dalla retribuzione – Comportamenti lesivi della dignità della persona –Proporzionalità della sanzione – Sussiste

Deve essere confermata la sentenza di merito che ha dichiarato la legittimità della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per 30 giorni per il funzionario amministrativo dell'INPS il quale, in violazione del regolamento interno che prevede l'obbligo di mantenere una condotta corretta con gli altri dipendenti e con gli utenti, ha prima chiesto a una stagista l'amicizia su Facebook, poi ne ha monitorato le foto e infine l'ha invitata a presentarsi truccata in ufficio.

NOTA

La Corte d'Appello di Bologna, confermando la sentenza del giudice di prime cure, rigettava l'impugnazione del lavoratore della sanzione disciplinare della sospensione per 30 giorni dal servizio e della retribuzione, irrogatagli dal datore di lavoro,In particolare, la Corte di Appello di Bologna giudicava inappropriati, scorretti e lesivi della dignità della persona i comportamenti tenuti dal lavoratore nei confronti di una stagista. Avverso tale decisione il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione.La Suprema Corte ritiene immune da vizi l'iter argomentativo della Corte territoriale in quanto coerente con i criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto. Nello specifico viene confermata la proporzionalità della sanzione rispetto all'accaduto, da un lato, in quanto la durata della sospensione inflitta (30 giorni) si colloca decisamente al di sotto della media tra il minimo (11 giorni) e il massimo (6 mesi) previste dal regolamento aziendale; dall'altro, in quanto la gravità degli atti lesivi alla dignità della persona posti in essere dal lavoratore è derivata una lesione dell'immagine dell'ente, anche in considerazione della giovane età della stagista coinvolta.In merito all'applicabilità della norma disciplinare rispetto ai destinatari della tutela (altri dipendenti o utenti), la Suprema Corte osserva che al dipendente è da assimilare lo stagista. Ciò in quanto non c'è alcuna ragione per cui debbano restare al di fuori di tale precetto comportamenti contrari al rispetto della dignità di chi frequenta l'ambiente di lavoro per un percorso formativo.Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso.

Contrattazione collettiva e adesione implicita

Cass. Sez. Lav., 8 giugno 2022, n. 18537

Pres. Manna; Rel. Marotta; Ric. D.G.; Controric. C.G.C.T.

Contrattazione collettiva – Efficacia soggettiva – Criteri – Iscrizione al sindacato firmatario – Adesione esplicita – Adesione implicita – Comportamenti concludenti del datore di lavoro – Costante e prolungata applicazione – Necessità

I contratti collettivi non aventi efficacia "erga omnes" sono atti negoziali privatistici, applicabili esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti tra soggetti iscritti alle associazioni stipulanti o che, in mancanza di tale condizione, abbiano espressamente aderito ai patti collettivi o li abbiano implicitamente recepiti, attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione, senza contestazione, delle relative clausole al singolo rapporto di lavoro.

NOTA

La Corte d'Appello di Bari, in riforma della sentenza del Tribunale di Foggia, respingeva la domanda del lavoratore, guardia giurata, che aveva invocato l'applicazione del Contratto Integrativo Provinciale dei braccianti agricoli della Provincia di Foggia al fine di ottenere la corresponsione del compenso per lavoro straordinario ivi previsto.In particolare, la Corte d'Appello riteneva che il ricorrente non avesse fornito sufficienti elementi per dimostrare che il datore di lavoro avesse applicato o recepito tale contratto collettivo e, in particolare, la relativa clausola in tema di orario di lavoro. I giudici richiamavano il consolidato orientamento giurisprudenziale sul punto, secondo cui l'individuazione della contrattazione applicabile al singolo rapporto di lavoro deve essere fatta unicamente attraverso l'indagine della volontà delle parti, risultante – oltre che da espressa pattuizione – anche implicitamente, dalla protratta e non contestata applicazione di un contratto collettivo (Cass. 11372/2008). Viceversa, il ricorso al criterio della categoria economica di appartenenza del datore di lavoro è consentito soltanto al fine di individuare la retribuzione "adeguata" ex art. 36, Cost., nelle ipotesi in cui il datore di lavoro non applichi nessuna contrattazione collettiva oppure applichi una retribuzione non adeguata rispetto all'effettiva attività lavorativa svolta. E, ancora, la Corte d'Appello sottolineava che non è sufficiente a concretizzare un'adesione implicita – e come tale idonea a rendere applicabile un contratto collettivo nella sua interezza – il semplice richiamo alle tabelle salariali contenute nel contratto stesso (Cass. 4303/1986), né la circostanza che il datore di lavoro, non iscritto alle associazioni sindacali stipulanti, avesse applicato alcune clausole del contratto collettivo, contestandone invece altre (Cass. 10632/2009; Cass. 3813/2001; Cass. 319/1996; Cass. 19654/1990; Cass. 6435/1984).Il lavoratore propone ricorso per Cassazione con un unico motivo, eccependo la violazione e falsa applicazione del suddetto contratto collettivo.La Corte di Cassazione rigetta il motivo di ricorso, ribadendo come i contratti collettivi non aventi efficacia "erga omnes" sono atti negoziali privatistici, applicabili esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti tra soggetti iscritti alle associazioni stipulanti o che, in mancanza di tale condizione, abbiano espressamente aderito ai patti collettivi o li abbiano implicitamente recepiti, attraverso un comportamento concludente desumibile da una costante e prolungata applicazione, senza contestazione, delle relative clausole al singolo rapporto di lavoro (Cass. 42001/2021; Cass. 18408/2015).Nel caso in oggetto, la Corte d'Appello aveva fatto corretta applicazione di questo principio di diritto e aveva correttamente valutato i fatti di causa, pervenendo alla conclusione che non vi fosse alcuna adesione implicita (né esplicita) alla contrattazione collettiva invocata dal ricorrente.

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