Contenzioso

Sanitari no vax, alla Consulta doppio rinvio dal Tar Milano

di Umberto Fantigrossi

Il Tar per la Lombardia, con due recenti ordinanze, ha rinviato alla Corte costituzionale due commi della norma che impone l’obbligo di vaccinazione contro l’infezione da Sars-Cov-2 agli esercenti le professioni sanitarie.

Le questioni di costituzionalità sono state sollevate con riferimento ai commi 4 e 5 dell’articolo 4 del Dl 44/2021. Mentre non hanno investito il comma 1, che stabilisce che la vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione.

All’atto pratico, la perdurante efficacia del comma 1 sembra rappresentare un ostacolo insormontabile per i sanitari non vaccinati.

Le ordinanze

L’ordinanza 712 del 30 marzo scorso ha dichiarato non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’articolo 4, comma 4, del Dl 44/2021, nella parte in cui non limita (più) la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale alle prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o che comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da Sars-Cov-2, per contrasto con i principi di ragionevolezza e di proporzionalità. Inoltre, ha bloccato alcuni provvedimenti degli Ordini professionali che dichiaravano la sospensione, abilitando quindi i sanitari ricorrenti, non vaccinati, a riprendere l’attività professionale, valutando il requisito del “fumus boni juris” non con riferimento al diritto vigente ma alla propria valutazione circa l’incostituzionalità della norma che si sarebbe dovuto applicare.

Invece, l’ordinanza 1397 del 16 giugno scorso ha dichiarato non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’articolo 4, comma 5, del Dl 44/2021, nella parte in cui dispone che per il periodo di sospensione dall’esercizio della professione sanitaria non sono dovute retribuzioni, né altro compenso o emolumento, anche qui per contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità.

I precedenti

Sul piano dei precedenti e della dottrina maggioritaria, l’esito processuale cui è pervenuto il collegio milanese può trovare spiegazione nell’esigenza di assicurare sempre la tutela “interinale”. Però questa tutela, riguardando una norma puntuale che si assume in contrasto con la Costituzione, dovrebbe essere riservata alla Corte costituzionale. C’è una lacuna nel nostro sistema di giustizia costituzionale che andrebbe colmata.

Peraltro, fino a oggi, la giustizia amministrativa ha dato un importante contributo alla tenuta del diritto emergenziale varato da governo e parlamento per far fronte alla pandemia e al relativo bilanciamento tra i vari diritti personali contrapposti. Basti richiamare il parere del Consiglio di Stato 735 del 7 aprile 2020, che ha consentito l’annullamento governativo straordinario del blocco dello Stretto di Messina e riportato la materia delle ordinanze nell’ambito delle competenze statali, nonché la sentenza 7054/2021, sempre del Consiglio di Stato, che ha e respinto tutti gli argomenti sostenuti dalle difese dei sanitari “no vax”. Proprio con riferimento ai profili di pretesa incostituzionalità, quella sentenza d’appello li ha giudicati infondati con ampi richiami alla giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenze 5/2018, 258/1994 e 307/1990).

Un decisivo argomento, di ordine costituzionale, è stato svolto in quell’occasione (ma poi ribadito in successive sentenze come la 6401/2021) dai giudici del Consiglio di Stato con riferimento al valore «fondamentale» della solidarietà, «cardine del nostro ordinamento costituzionale», e, insieme con esso, quei fondamentali obblighi di reciproca assistenza e protezione, per sé e per gli altri, anche essi parimenti posti a fondamento della nostra Costituzione (articolo 2), obblighi che legano ciascun individuo all’altro, indissolubilmente, in una “social catena” e in quel “patto di solidarietà” tra individuo e collettività che, secondo la stessa Corte costituzionale, sta alla base di ogni vaccinazione, obbligatoria o raccomandata che sia (Corte costituzionale, 118/2020). Il Tar milanese non ha ritenuto di dover tener conto di tale consolidato indirizzo e spetterà ora ai giudici costituzionali affrontare i nodi problematici che la vicenda pone all’interprete.

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