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Controlli a distanza dei lavoratori: sulla posta elettronica la giurisprudenza non è univoca

Per gli strumenti di lavoro quali i programmi di videoscrittura e per gli strumenti di registrazione di accessi e presenze non opera il divieto né l’obbligo di accordo sindacale o di autorizzazione dell’Inl previsto dall’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori. Più controversa è la questione della posta elettronica: l’incognita è data dall’interpretazione della giurisprudenza, che non è affatto univoca e dalla sovrapposizione delle norme dello Statuto con quelle del codice della privacy.

di Marcello Floris

Non è violata la disciplina prevista dagli articoli 4 e 38 dello Statuto dei lavoratori (legge 300/1970) quando l’impianto di controllo a distanza, installato sul luogo di lavoro senza accordo con le rappresentanze sindacali o di autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro sia funzionale alla tutela del patrimonio aziendale, sempre che il suo utilizzo non implichi un significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti o resti finalizzato ad accertare condotte illecite degli stessi. Le norme dello Statuto dei lavoratori non impediscono i controlli difensivi sui beni dell’impresa. Lo ha chiarito la Cassazione nella sentenza 3255 del 2021 della terza sezione penale.

L’imputato aveva installato impianti video all’interno dell’azienda utilizzabili per il controllo a distanza dei dipendenti, senza aver richiesto l’accordo delle Rsa o dell’Ispettorato del lavoro. Tuttavia è emerso che tali impianti non erano strumenti di controllo lesivi della dignità e libertà dei lavoratori, ma sistemi difensivi a tutela del patrimonio aziendale.

Recentemente un principio analogo è stato affermato dalla sentenza 13649 del 2022 della prima sezione penale della Cassazione, pubblicata l’8 aprile 2022.

La norma sui controlli

Nel 2015 la formulazione dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori è cambiata. Gli impianti e gli strumenti dai quali derivi la possibilità di controllo a distanza del lavoro possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale con la necessità di un accordo sindacale o, in mancanza, dell’autorizzazione dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro.

Le informazioni regolarmente raccolte possono essere utilizzate anche a fini disciplinari, a condizione che sia data adeguata informativa ai dipendenti sulle modalità d’uso degli strumenti e dell’effettuazione dei controlli.

Per gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti che consentono il controllo a distanza del lavoratore permane il divieto di installazione, salvo esigenze specifiche, senza accordo sindacale o autorizzazione dell’Ispettorato.

Non solo telecamere

Per gli strumenti di lavoro quali i programmi di videoscrittura e per gli strumenti di registrazione di accessi e presenze, invece, non opera il divieto né l’obbligo di accordo sindacale o di autorizzazione dell’Inl. Più controversa, invece, è la questione della posta elettronica.

L’articolo 4 e il tema dei controlli a distanza sono diventati di grande attualità con l’utilizzo estensivo del lavoro da remoto, ora prorogato in regime semplificato sino al 31 agosto 2022. L’impianto della norma è complesso, richiedendo l’accordo sindacale o l’autorizzazione dell’Itl e, in ogni caso, l’informativa ai dipendenti. Pur con questi limiti, l’articolo 4 sembra in grado di contemperare le esigenze di controllo datoriali con la necessità dei lavoratori di evitare un controllo indiscriminato ed eccessivamente invasivo.

Che cosa dicono i giudici

Certamente l’incognita è data dall’interpretazione della giurisprudenza, che non è affatto univoca e dalla sovrapposizione delle norme dello Statuto con quelle del codice della privacy.

In passato la Cassazione ha ritenuto legittimo il controllo della posta elettronica aziendale di un dipendente accusato di aver inviato una serie di e-mail al rappresentante legale contenenti espressioni scurrili (Cassazione, 2017, n. 26682), così come per accertare attività extra-lavorative: il dipendente era stato sorpreso a giocare al Pc (Cassazione, 2018, n. 13266)

La Corte d’Appello di Venezia (28 giugno 2021, sentenza 476) ha stabilito che sono utilizzabili le videoregistrazioni delle telecamere impiegate dal datore – un casinò - per contestare a una dipendente condotte in violazione delle procedure aziendali e penalmente rilevanti.

È stata ritenuta legittima la condotta del datore che esamini i dati del traffico internet del dipendente sul Pc assegnatogli in dotazione, senza analizzare quali siti abbia visitato, ma solo valutando i dettagli del traffico. Tale comportamento non coinvolge né profili di violazione della privacy, né dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori.

Per contro, diverse pronunce hanno negato la legittimità del controllo della posta elettronica in assenza dell’adeguata informativa prevista dall’articolo 4: Tribunale di Milano, sentenza 17778 del 13 maggio 2019 e Tribunale di Genova, con la sentenza pubblicata il 14 dicembre 2021.

Inoltre, il 22 giugno 2021 il Garante della privacy ha dichiarato che non è possibile monitorare la navigazione in internet dei lavoratori in modo indiscriminato. Indipendentemente da specifici accordi sindacali, le attività di controllo devono essere sempre svolte nel rispetto dello Statuto e della normativa sulla privacy.

Devono quindi essere rispettati i principi di pertinenza e di non invadenza: va esclusa l’ammissibilità di controlli prolungati o indiscriminati (si veda anche il Provvedimento del Garante della Privacy 53 del 2018).

Alcune pronunce dei giudici

Per i controlli difensivi serve un fondato sospetto

In tema di cosiddetti sistemi difensivi, sono consentiti, anche dopo la modifica dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori ad opera dell’articolo 23 del Dlgs 151/2015, i controlli anche tecnologici messi in atto dal datore di lavoro, finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o a evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all’insorgere del sospetto.

Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 34092 del 12 novembre 2021

Se ci si difende usando i dati altrui, vanno bilanciati i diritti

La produzione in giudizio di documenti contenenti dati personali è sempre consentita ove necessaria per esercitare il proprio diritto di difesa, anche in assenza del consenso del titolare e quali che siano le modalità con cui è stata acquisita la loro conoscenza. Tuttavia, poiché la facoltà di difendersi in giudizio utilizzando i dati personali altrui va esercitata nel rispetto dei doveri di correttezza, pertinenza e non eccedenza previsti dagli articoli 4 e 11 del Dlgs 196/2003, la legittimità della produzione va valutata in base al bilanciamento tra il contenuto del dato utilizzato, cui va correlato il grado di riservatezza, e le esigenze di difesa.

Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 33809 del 12 novembre 2021

Sì ai controlli sugli strumenti di lavoro se ci sono illeciti

È legittimo il controllo cosiddetto difensivo del datore di lavoro sulle strutture informatiche aziendali in uso al lavoratore, a condizione che esso sia causato dalla necessità indifferibile di accertare lo stato dei fatti a fronte del sospetto di un comportamento illecito e che detto controllo prescinda dalla pura e semplice sorveglianza sull’esecuzione della prestazione lavorativa, essendo invece diretto ad accertare la perpetrazione di eventuali comportamenti illeciti. Cass. civ., Sez. lavoro, sentenza del 22 settembre 2021, n. 25732

La chat aziendale è uno strumento di lavoro

La chat aziendale, destinata alle comunicazioni di servizio dei dipendenti, è qualificabile come strumento di lavoro in base all’articolo 4, comma 2, dello Statuto dei lavoratori, essendo funzionale alla prestazione lavorativa. Ne consegue che le informazioni tratte dalla chat a seguito dei controlli effettuati dal datore di lavoro, sono inutilizzabili in mancanza di adeguata informazione preventiva dei lavoratori ex articolo 4, comma 3, dello Statuto dei lavoratori.

Cassazione civile, sezione Lavoro, sentenza 25731 del 22 settembre 2021

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