Contenzioso

Illegittimo negare i premi a chi fruisce della legge 104

di Marcello Bonomo e Enrico D’Onofrio

Con la sentenza 212/2022, depositata il 14 giugno, la Corte d’appello di Torino ha dichiarato discriminatoria la condotta di una società che non ha considerato i permessi previsti dall’articolo 33 della legge 104/1992 come equivalenti alla presenza in servizio ai fini della determinazione del premio di risultato, condannandola al pagamento delle relative differenze retributive.

I lavoratori ricorrenti avevano chiesto che i permessi 104 fossero considerati, nel premio di risultato, al pari della presenza in servizio. Il Tribunale aveva rigettato la domanda, rilevando che il premio era volto a incrementare la produttività aziendale mediante un sistema per dissuadere l’assenteismo, per cui non sussisteva una discriminazione basata sulla disabilità, posto che i lavoratori che si assentavano per i permessi 104 venivano considerati al pari dei colleghi assenti per altra causa (malattia, infortunio...). Infatti solo i permessi donazione sangue e quelli sindacali erano stati considerati equivalenti alla presenza, in quanto diretti a soddisfare interessi collettivi che giustificavano tale scelta.

In accoglimento dell’appello, la Corte di Torino ha stabilito che – secondo la Carta di Nizza, la direttiva 2000/78, il Dlgs 216/2003 e la consolidata interpretazione della Corte di giustizia Ue – è vietato discriminare chiunque a motivo della disabilità, indipendentemente se sia lavoratore disabile o colui che lo assiste. La società, quindi, decurtando dal premio i permessi 104, secondo la Corte avrebbe realizzato una discriminazione diretta, in quanto avrebbe sfavorito i lavoratori ricorrenti per il solo fatto della disabilità connessa alla loro assenza. Né, secondo la Corte, tale trattamento poteva essere giustificato nel confronto con i lavoratori malati o infortunati (anch’essi esclusi), posto che i lavoratori disabili e i caregiver hanno una maggiore probabilità di assentarsi proprio a causa della disabilità e, comunque, la malattia o l’infortunio non sono oggetto di protezione nella direttiva 2000/78.

La stessa Corte di Torino, in una precedenza sentenza (la 937/2017), proprio con riferimento ai premi di risultato aveva già rilevato la discriminatorietà del mancato computo delle assenze dovute a gravidanza, maternità e congedi parentali.

In merito alla soluzione accolta dalla Corte torinese va osservato che, nell’ambito di un accordo collettivo istitutivo di un sistema incentivante e volto a premiare la presenza in servizio con un emolumento aggiuntivo alla normale retribuzione, la selezione delle assenze che incidono o meno sul premio è espressione dell’autonomia privata e, qualora l’assetto negoziale fosse fondato sull’esclusione di una vasta gamma di assenze, non dovrebbe rinvenirsi una situazione di particolare svantaggio (e, quindi, di discriminazione) per una categoria di lavoratori rispetto a un’altra.

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