Contenzioso

Il solo stato di bisogno non è sfruttamento

di Giampiero Falasca

L'assunzione di una persona di cui si conosce lo stato di bisogno non è di per sé sintomatica di sfruttamento, laddove siano rispettate le prerogative retributive e orarie del lavoratore e sia garantita la sua sicurezza sul lavoro; in ogni caso, ai fini della configurabilità del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (previsto dall'articolo 603 del Codice penale) è necessaria la prova concreta della sussistenza di tale situazione di bisogno, non essendo questo desumibile mediante presunzioni.

Questi i principi elaborati dalla Corte di cassazione con la sentenza 28289/2022 emanata nell'ambito della controversia promossa da un imputato contro l'ordinanza con la quale il Tribunale del riesame di Bari aveva stabilito a suo carico il divieto di esercitare uffici direttivi delle imprese (modificando la precedente, e più lieve, misura dell'obbligo di dimora); la persona sottoposta alla misura era accusata di aver reclutato decine di lavoratori stranieri per destinarli alla coltivazione diretta di terreni agricoli, approfittando del loro stato di bisogno.

Tale condotta, secondo il provvedimento oggetto di ricorso, integrava il reato disciplinato dall'articolo 603 del Codice penale, che qualifica come intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro il comportamento di chi «recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori».

La Cassazione non ha avallato tale lettura, partendo dalla considerazione che tra gli indici di sfruttamento annoverati dall'articolo 603, ai fini della configurazione del reato, va considerata anche la sussistenza dello stato di bisogno. Fatta questa premessa, la sentenza osserva che, con la disciplina contenuta nell'articolo 603, il legislatore ha scelto di punire non lo sfruttamento in sé, ma solo quello che si realizza mediante l'approfittamento di una situazione di grave inferiorità del lavoratore, che può derivare sia da condizioni di natura economica, sia da fattori di altra natura, a patto che siano comunque capaci di indebolire la capacità e la volontà contrattuale del lavoratore fino al punto da indurlo ad accettare condizioni cui altrimenti non avrebbe acconsentito.

In questa ottica, prosegue la Cassazione, non basta che ricorrano i sintomi dello sfruttamento indicati dal comma 3 dell'articolo 603, ma occorre anche l'abuso della condizione esistenziale della persona, che coincide con il vantaggio che si consegue in concreto. La Corte precisa anche che lo stato di bisogno non si identifica con una situazione di vulnerabilità che annienta in modo assoluto qualsiasi libertà di scelta, ma coincide comunque con una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, che limita la volontà della vittima e la induce ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose.

Nel caso oggetto della controversia, la Cassazione rileva che il provvedimento impugnato risultava gravemente carente nella motivazione, non avendo in alcun modo spiegato in cosa sussistesse lo stato di bisogno dei lavoratori: tale situazione era fatta coincidere con la loro residenza preso un centro di accoglienza, ma mancava qualsiasi descrizione oggettiva o soggettiva che dimostrasse la ricorrenza del vero e proprio stato di bisogno. Il semplice rinvio alla residenza nel centro di accoglienza, secondo i giudici, può integrare certamente una a situazione di disagio personale ma non coincide di per sé con lo stato di bisogno.

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