Contenzioso

Cambio di mansioni: il lavoratore non può rifiutare la visita medica

di Valeria Zeppilli

In caso di cambio di mansioni da parte del dipendente, il datore di lavoro è tenuto a sottoporlo a visita medica di idoneità. Si tratta di un adempimento al quale non è possibile sottrarsi: la sua omissione, secondo la Corte di cassazione (sezione lavoro, 22094/2022), rappresenta un colposo e grave inadempimento della parte datoriale.

L'articolo 41, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 81/2008 prevede, infatti, che la sorveglianza sanitaria cui il datore di lavoro è tenuto comprende anche la visita medica con la quale, in occasione del cambio di mansioni, si va a verificare l'idoneità del dipendente a svolgere la nuova mansione specifica. Sulla base di un simile presupposto, il lavoratore non può rifiutarsi di sottoporsi a tale visita, neanche laddove ritenga che il conferimento del nuovo incarico che la giustifica rappresenti una forma di illegittimo demansionamento.

Del resto, la visita medica è preventiva e prodromica al passaggio di mansioni e quindi, di fatto, il demansionamento, anche laddove ipotizzato, al momento del suo svolgimento non può dirsi verificato. Il datore di lavoro che dispone l'accertamento medico non fa altro che adeguarsi alle prescrizioni che gli sono imposte a tutela delle condizioni fisiche dei propri dipendenti nello svolgimento delle mansioni che sono loro assegnate.

Se il dipendente non ne condivide gli esiti o ritiene che le mansioni cui dovrebbe essere successivamente adibito non gli siano state legittimamente assegnate, per la Corte di cassazione, può poi eventualmente rivolgersi agli organi competenti, ma non può certo "farsi giustizia da sé" rifiutando preventivamente il controllo e invocando l'articolo 1460 del Codice civile, che disciplina l'eccezione di inadempimento. Tale ultima norma, del resto, trova applicazione solo in caso di totale inadempimento da parte del datore di lavoro o laddove questi tenga una condotta talmente grave da incidere irrimediabilmente sulle esigenze vitali del lavoratore che la invoca. Tutte circostanze che non possono dirsi integrate in ipotesi come quella in esame.

Nel caso analizzato dalla Corte di cassazione, il datore di lavoro, a fronte del rifiuto reiterato di una dipendente di sottoporsi alla visita medica, aveva disposto nei suoi confronti un licenziamento per giusta causa. Su tale decisione i giudici di legittimità hanno deciso di non pronunciarsi, specificando che la ricorrenza di elementi idonei a costituire la giusta causa di licenziamento e la valutazione circa la proporzionalità della sanzione rappresentano degli accertamenti di fatto sui quali la loro giurisdizione non può estendersi.

Resta quindi confermata la valutazione fatta dai giudici del merito che, con motivazione considerata corretta sia dal punto di vista logico che da quello giuridico, avevano ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa, considerati l'illegittimità del comportamento omissivo della lavoratrice, punito anche con sanzioni penali, e la finalità della condotta del datore di lavoro di tutelare la salute e la sicurezza dei propri dipendenti in ossequio alle prescrizioni del decreto legislativo 81/2008.

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