Contenzioso

Conciliazione sindacale, le garanzie chieste dalla giurisprudenza

di Pasquale Dui

Secondo il Tribunale di Bari (sentenza del 13 maggio 2022 commentata sul Quotidiano del Lavoro del 13 maggio), la validità del verbale di conciliazione firmato in sede protetta secondo l’articolo 2113, comma 4, del Codice civile, presuppone che il rappresentante sindacale davanti al quale le parti sottoscrivono l’accordo transattivo appartenga alla organizzazione sindacale cui è iscritto il lavoratore.
Non si può affermare che il lavoratore abbia ricevuto effettiva assistenza sul contenuto della transazione, se il rappresentante sindacale non è riconducibile alla stessa associazione sindacale cui ha aderito il lavoratore.
Secondo tale decisione, nell’ambito delle conciliazioni regolate dall’articolo 2113, comma 4, solo i funzionari sindacali della sigla a cui è iscritto il lavoratore sono legittimati a fornire l’assistenza qualificata che costituisce il presupposto di validità della conciliazione. Né può darsi alcun valore all’incarico che il lavoratore abbia conferito contestualmente alla sottoscrizione del verbale di conciliazione, perché proprio la circostanza di averlo rilasciato al momento in cui si transige lo rende inidoneo a comprovare che il lavoratore abbia ricevuto una effettiva assistenza.

L’impatto dell’orientamento giurisprudenziale

La prospettiva posta da decisioni allineate a questa giurisprudenza è piuttosto rigida, considerando che l’attualità e l’esperienza quasi quotidiana prospettano situazioni concrete nelle quali di fatto il lavoratore conferisce l’incarico di assistenza a un conciliatore monocratico, all’atto della stesura del verbale di conciliazione e, a quanto pare, non infrequentemente la Suprema Corte vede con sospetto tali forme pratiche di definizione delle liti, a prescindere dal grado di assistenza prestata dal conciliatore stesso. Lo scopo che si prefigge questa giurisprudenza è quello di poter ottenere la sicurezza che il lavoratore, nella fattispecie concreta, sia in condizioni effettive di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura (Cassazione, 4 ottobre 2018, n. 21617).

È piuttosto recente, peraltro, l’affermazione secondo cui la compresenza del conciliatore e dello stesso lavoratore al momento della conciliazione lasci presumere l’adeguata assistenza del primo, chiamato a detto fine a prestare opera di conciliatore (per il conferimento di un mandato implicito del lavoratore necessariamente sottostante all’attività del primo, Cassazione 9 giugno 2021, n. 16154).

La sentenza della Corte d’Appello Roma, sezione lavoro, 14 giugno 2021, sembra allineata a questo indirizzo, con la sottolineatura che la controversia era innestata in una fattispecie di condotta antisindacale, per non avere accettato la presenza del rappresentante dei lavoratori ad opera della associazione datoriale (da cui il giudizio di insussistenza di una condotta antisindacale messa in atto dall’azienda).Qualche accenno si può rinvenire in Corte d’appello di Roma, sentenza 9 del 12 gennaio 2022, dove viene trattata solo incidentalmente la questione della mancata assistenza del lavoratore in un caso di licenziamento collettivo, sfociato in una serie di atti di conciliazione piuttosto “routinari”, che lasciavano presupporre la mancata assistenza.

Secondo la sentenza del Tribunale di Roma 4354 dell’8 maggio 2019, sarebbe invalida una transazione formalizzata in sede sindacale qualora il Ccnl di categoria applicato al rapporto di lavoro in questione non ne disciplini nel dettaglio l’andamento. Per il giudice del lavoro romano, nel caso in cui si verifichi tale presupposto l’accordo transattivo scaturente dalla relativa attività complessivamente conciliativa non assicurerebbe gli effetti di cui al combinato disposto degli articoli 2113 del Codice civile e e 410-411 del Codice di procedura civile. Il verbale di conciliazione non più impugnabile tra il lavoratore e il datore di lavoro rappresenta normalmente l’atto conclusivo di una complessa e articolata procedura. Senza quella procedura e il suo rispetto, il verbale di conciliazione giuridicamente non è valido. L’articolo 411 del Codice di procedura civile, terzo comma, esonera dall’osservanza delle particolari e rigorose forme solo i casi in cui le conciliazioni siano sottoscritte “in sede sindacale”. Per questa sede le forme non sono rigorose come per le altre.

Le avvertenze sui problemi applicativi rilevati nelle conciliazioni sindacali

La delega concessa al sindacalista monocratico all’espletamento della conciliazione

Questa fattispecie viene vista con un certo sospetto dalla giurisprudenza, mancando una soluzione di continuità tra l’attività di assistenza al lavoratore e l’attività di conciliazione da parte dello stesso soggetto conciliatore. Sarebbe opportuno un previo colloquio tra lavoratore e funzionario sindacale circa lo svolgimento dei fatti e il contenuto delle rinunce abdicative che il lavoratore andrà a sottoscrivere.

Le modalità concrete dell’attività del terzo conciliatore

Si discute su quali siano le modalità concrete con le quali deve svolgersi l’intervento del terzo, onde poter essere considerato a effettiva garanzia della libertà di consenso del lavoratore. Alcuni giudici ritengono assolto il compito della “effettiva assistenza” in presenza di un rapporto fiduciario tra lavoratore e conciliatore che risulti in un documento sottoscritto dalle parti e dai rispettivi rappresentanti, anche preliminarmente ed al momento della formalizzazione della conciliazione. Nella giurisprudenza di legittimità tale orientamento è prevalente, con il limite della dovuta informazione del lavoratore, che, invero, spesso non conosce il conciliatore, circa gli effetti dell’atto che sta per sottoscrivere.

È necessario un ruolo attivo del conciliatore

Quando la giurisprudenza ritiene necessario verificare sul campo un ruolo attivo del conciliatore, si riferisce all’avvertimento degli effetti abdicativi “tombali” delle rinunce del lavoratore, ritenendo necessario che il lavoratore sia consapevole di quanto ha stipulato, che sia consigliato sulle convenienze e che sia avvertito degli effetti dispositivi derivanti dall’atto e dell’irreversibilità degli stessi. In questi termini una posizione proattiva del conciliatore potrebbe derivare da un previo colloquio di fronte a tutti i soggetti presenti, durante il quale vengano riassunti i termini dell’atto che il lavoratore sta per sottoscrivere e far seguire, prima delle sottoscrizioni, la lettura del verbale, eventualmente con qualche commento di fronte ad espressioni del linguaggio sindacale e sostanziale, spesso caratterizzati da un contenuto tecnico di scarsa comprensione.

Conciliazione con un rappresentante sindacale diverso da quello al quale il lavoratore si è affidato

Qui la questione diventa più delicata, perché questo requisito, a volte richiesto dalla giurisprudenza, pone in risalto due distinti rapporti sostanziali: quello di un mandato sindacale a un rappresentante di fiducia del lavoratore; quello del conferimento del potere di conciliare attribuito a un altro funzionario sindacale. Questo è un caso che difficilmente si prospetta nella realtà pratica, in quanto ritenuto eccessivamente stringente e inopportuno. Una certa – minoritaria – giurisprudenza di merito richiede tale duplice requisito, ma senza molto seguito.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©