Contenzioso

Cambio appalto, no all’assunzione del lavoratore condannato per spaccio

di Giampiero Falasca

Le clausole sociali previste dai contratti collettivi per i casi di cambio appalto non garantiscono un obbligo incondizionato del subentrante; questa impresa mantiene il diritto di compiere le verifiche sull’idoneità del lavoratore a svolgere le mansioni previste.

Con questo principio la Cassazione (ordinanza 22212/2022) definisce i limiti entro cui possono trovare applicazione quelle regole di fonte collettiva (e in alcuni casi normativa) che impongono, nei casi di successione nell’esecuzione di un contratto di appalto, al soggetto che subentra di assumere il personale già utilizzato nell’appalto dal soggetto uscente.

La vicenda che sta alla base della sentenza della Corte riguarda il subentro di un’azienda nel servizio di smaltimento rifiuti di un Comune. Tale impresa, in occasione del subentro nella gestione, aveva rifiutato di assumere un lavoratore già impiegato in tale ambito dal soggetto uscente, ritenendo che il suo coinvolgimento in una rete di spaccio di stupefacenti – accertato da una sentenza passata in giudicato - fosse un motivo ostativo all’assunzione, in quanto faceva venire meno l’elemento fiduciario. Tale elemento, secondo il subentrante, avrebbe reso inutile l’assunzione, essendo questa destinata a essere seguita immediatamente da un licenziamento per giusta causa.

La Cassazione, confermando l’orientamento dei giudici di merito, conferma la tesi dell’impresa e rigetta la pretesa del dipendente di farsi assumere. Per motivare tale decisione la Corte, innanzitutto, evidenzia che il diritto all’assunzione scaturente da una clausola contenuta in un contratto collettivo non può essere assoluto, ma è condizionato al rispetto dei principi generali del sistema, che consentono comunque all’impresa di procedere alla verifica dell’attitudine professionale di un dipendente.

Attitudine che, rileva la Cassazione, nel caso in questione era da escludere per via dell’accertamento, con sentenza definitiva, della commissione di un reato grave come lo spaccio di stupefacenti. In altre parole, secondo la Corte il lavoratore era oggettivamente incompatibile a rendere la prestazione lavorativa, considerato che si era reso protagonista di fatti di inaudita gravità sotto il profilo penale, che consentivano al datore di non adempiere al proprio obbligo di assumere, incontrando l’articolo 1218 del codice civile. Come si legge nella sentenza di appello, confermata dalla pronuncia della Cassazione, in tale situazione il datore ha il diritto di far valere l’esistenza di condizioni ostative all’assunzione inerenti la valutazione professionale del dipendente, come confermato dall’articolo 8 dello Statuto dei lavoratori che consente di svolgere in fase pre-assuntiva delle indagini finalizzate a valutare l’attitudine del potenziale dipendente a svolgere le mansioni che gli saranno affidate.

A fronte di tale situazione, si configurava una causa di impossibilità sopravvenuta della prestazione a carico del subentrante, situazione che fa scattare il meccanismo di esonero dall’obbligo di adempimento previsto dall’articolo 1218 del codice civile.

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