Contenzioso

Rassegna di Cassazione

a cura di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci

Nozione di lavoro subordinato
Licenziamento per giusta causa
Sicurezza sul lavoro e responsabilità del datore
Determinazione datoriale del periodo di ferie
Potere di controllo del datore e impiego di investigatori

Nozione di lavoro subordinato

Cass. Sez. Lav., 19 agosto 2022, n. 24978

Pres. Raimondi; Rel. Ponterio; Ric. P.N.; Controric. COD. CIV.B.S. in liquidazione

Rivendicazione lavoro subordinato – Indici – Eterodirezione – Criteri sussidiari – Valutazione complessiva e globale – Necessità

Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato o autonomo, costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo, la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato.

NOTA

La Corte di Appello di Salerno dichiarava inammissibile l'appello proposto dal lavoratore nei confronti della società per la riforma della sentenza di primo grado, con la quale veniva esclusa la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso fra la società ed il lavoratore, in forza del quale quest'ultimo era stato nominato "Responsabile della discarica di Parapoti con delibera del Commissario Straordinario n. 8/1996, più volte rinnovata, nonché destinatario di altri incarichi elencati nella sentenza di primo grado".Il Giudice di prime cure, inoltre, rigettava «la domanda di differenze retributive e dei compensi per i progetti estranei al dedotto rapporto di impiego, dichiarando prescritti i compensi oggetto delle fatture emesse a saldo di prestazioni per cui erano stati già versati gli acconti».

Avverso tale decisione il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione.

La Suprema Corte ritiene immune da vizi l'iter argomentativo della Corte territoriale, precisando, in primo luogo, che «Nella giurisprudenza di questa Corte, è costante l'affermazione secondo cui, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto, cioè l'individuazione del parametro normativo, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede, la valutazione delle risultanze processuali al fine della verifica di integrazione del parametro normativo (v. Cass., n. 17009 del 2017; Cass., n. 9808 del 2011; Cass., n. 13448 del 2003; Cass., n. 8254 del 2002; Cass., n. 14664 del 2001; Cass., n. 5960 del 1999)».

In sostanza la Corte di Appello aveva confermato la sentenza di merito che aveva escluso la natura subordinata del rapporto di lavoro autonomo, considerato che erano emersi diversi elementi indiziari tra i quali, oltre alla volontà delle parti espressa nelle diverse convezioni, la mancanza di forme di controllo sul rispetto dell'orario, la mancata soggezione a forme di potere disciplinare, il coevo svolgimento di altre attività di lavoro per un periodo del rapporto.

Sul punto la Corte di Cassazione precisa che la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro «non costituisce un dato di fatto elementare quanto piuttosto una modalità di essere del rapporto potenzialmente desumibile da un complesso di circostanze; sicché ove esso non sia agevolmente apprezzabile, è possibile fare riferimento, ai fini qualificatori, ad altri elementi (come, ad esempio, la continuità della prestazione, il rispetto di un orario predeterminato, la percezione a cadenze fisse di un compenso prestabilito), che hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria. Tali elementi, lungi dall'assumere valore decisivo ai fini della qualificazione giuridica del rapporto, costituiscono indizi idonei ad integrare una prova presuntiva della subordinazione, a condizione che essi siano fatti oggetto di una valutazione complessiva e globale».

Conclusivamente la Suprema Corte rigetta il ricorso del lavoratore. 

Licenziamento per giusta causa

Cass. Sez. Lav., 24 agosto 2022, n. 25291

Pres. Raimondi; Rel. Caso; P.M. Fresa; Ric. C.P.; Controric. I. I. S.p.A.

Contestazione disciplinare – Pluralità di addebiti – Condotte articolate e complesse – Immediatezza – Valutazione relativa – Legittimità

I requisiti della immediatezza e tempestività condizionanti la validità del licenziamento per giusta causa sono compatibili con un intervallo temporaneo, quando il comportamento del lavoratore consti di una serie di fatti che, convergendo a comporre un'unica condotta, esigono una valutazione globale ed unitaria da parte del datore di lavoro.

NOTA

La Corte d'Appello di Milano, in riforma della sentenza resa all'esito del primo grado di giudizio, ha giudicato legittimo e tempestivo il licenziamento per giusta causa irrogato ad un dipendente che non aveva monitorato, come era suo preciso compito fare, molteplici voci di costo a carico della società.

Secondo la Corte distrettuale, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, l'atto di recesso era da considerarsi tempestivo in ragione della compatibilità del principio di immediatezza della contestazione con un accertamento temporalmente ampio, allorquando la frammentazione dei fatti contestati richieda un'analisi più durevole e approfondita.

Contro la pronuncia di merito ha promosso ricorso in cassazione la parte lavoratrice lamentando la tardività della reazione datoriale e l'invalidità del provvedimento espulsivo.

Tuttavia, nel rigettare le doglianze mosse dal ricorrente, la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito come: «nel licenziamento per giusta causa il principio dell'immediatezza della contestazione dell'addebito deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, quando l'accertamento e la valutazione dei fatti siano molto laboriosi e richiedano uno spazio temporale maggiore». Secondo i giudici di legittimità, inoltre: «i requisiti della immediatezza e tempestività condizionanti la validità del licenziamento per giusta causa sono compatibili con un intervallo temporaneo, quando il comportamento del lavoratore consti di una serie di fatti che, convergendo a comporre un'unica condotta, esigono una valutazione globale ed unitaria da parte del datore di lavoro».

Sicurezza sul lavoro e responsabilità del datore

Cass. Sez. Lav., 24 agosto 2022, n. 25288

Pres. Raimondi; Rel. Leone; Ric. B.C.; Controric. R.F.

Sicurezza sul lavoro – Infortunio – Mancanza di protezioni – Mancata adozione di direttive inibitorie – Responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 cod. civ. – Sussiste

La responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 cod. civ., pur non configurando un'ipotesi di responsabilità oggettiva, sorge non soltanto in caso di violazione di regole di esperienza o di regole tecniche già conosciute e preesistenti, ma sanziona anche la omessa predisposizione, da parte del datore di lavoro, di tutte le misure e cautele idonee a preservare l'integrità psico-fisica del lavoratore in relazione alla specifica situazione di pericolosità, inclusa la mancata adozione di direttive inibitorie nei confronti del lavoratore medesimo.

NOTA

La Corte d'Appello di Firenze aveva accolto la domanda di una lavoratrice diretta ad ottenere la condanna della datrice di lavoro al risarcimento integrale del danno subito a seguito di infortunio sul lavoro. Premetteva la sentenza che sia il Tribunale di Perugia che la Corte di appello di Perugia avevano respinto la predetta domanda ritenendo «non provata la responsabilità datoriale quanto all'infortunio, consistito nelle lesioni procurate alla lavoratrice dalla macchina impastatrice che la stessa stava adoperando e che, pur a seguito della apertura del coperchio, aveva continuato a funzionare così determinando la lesione al braccio della lavoratrice».

La Corte di legittimità in sede di rinvio, aveva valutato la mancata osservanza dei principi in tema di oneri probatori ai sensi del disposto dell'art. 2087 cod. civ. e, in concreto, rispetto a circostanze pacifiche circa la modalità dell'infortunio, la mancata osservanza dei principi che impongono al datore di lavoro di fornire la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare e prevenire il danno, adempiendo agli obblighi di sicurezza. La Corte di Firenze, in ragione dei principi posti dal Giudice di legittimità, accertava la responsabilità datoriale nella determinazione dell'evento e del danno, condannando la società al risarcimento del danno biologico temporaneo e del danno morale.

Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società per violazione dell'art. 2059 cod. civ. e 185 cod. proc. civ., dell'art. 10 DPR 1124/1965 e art. 2697 cod. civ., nonché dell'art. 414 cod. proc. civ. circa la liquidazione del danno morale in assenza di reato, per non avere la sentenza valutato la sussistenza dei presupposti per integrare la fattispecie del reato di lesioni.

La Corte di legittimità ha rigettato il ricorso ribadendo che: «in tema di risarcimento dei danni da infortuni sul lavoro e malattie professionali, l'accertamento di un danno all'integrità fisica del lavoratore, addebitabile all'insufficiente predisposizione di strumenti di sicurezza in violazione di un obbligo di legge (e, quindi, l'attribuibilità al datore di lavoro di tale condotta omissiva), costituisce implicita valutazione della ricorrenza dei presupposti astrattamente contemplati per la fattispecie penale del reato di lesioni quantomeno colpose». I giudici di legittimità hanno anche ricordato la costante giurisprudenza che afferma il principio di cui alla massima.

Determinazione datoriale del periodo di ferie

Cass. Sez. Lav. 19 agosto 2022, n. 24977

Pres. Doronzo; Rel. Garri; Ric. E.I. S.p.A.; Controric. A.S.K. + altri.

Ferie – Determinazione unilaterale del datore di lavoro – Limite – Effettivo ristoro del lavoratore – Comunicazione alla RSU – Insufficienza – Comunicazione ai singoli lavoratori – Necessità

L'esercizio del potere, attribuito unicamente all'imprenditore, a norma dell'art. 2109 cod. civ., di fissare il periodo di godimento delle ferie da parte dei dipendenti va esercitato secondo un principio di equilibrato soddisfacimento delle posizioni soggettive contrapposte: quella del datore di lavoro di organizzare le ferie privilegiando le sue necessità e quella dei lavoratori di essere in grado di conseguire il beneficio cui le ferie sono preordinate, ossia il recupero delle energie psicofisiche. In tale prospettiva, la comunicazione datoriale inviata alla Rappresentanza Sindacale Unitaria non può tenere il luogo di una comunicazione diretta ai singoli lavoratori della necessità di fruire delle ferie maturate ed ancora da godere.

NOTA

Nel caso di specie, alcuni lavoratori adivano l'Autorità Giudiziaria al fine di sentir dichiarare l'illegittimità della condotta della società datrice di lavoro, con condanna al risarcimento dei danni, per averli unilateralmente collocati in ferie senza alcuna preventiva comunicazione – inviata alla sola RSU aziendale – circa il periodo di godimento, del quale erano venuti a conoscenza unicamente ex post, a fronte della consultazione delle rispettive buste paga.

La Corte d'Appello di Trieste, confermando la decisione emessa dal Tribunale di Pordenone, reputava illegittima la condotta datoriale e accoglieva le istanze dei dipendenti. Il Giudice di secondo grado, in particolare, motivava la propria pronuncia rilevando come il potere del datore di lavoro di determinare il periodo di godimento delle ferie da parte dei dipendenti e la relativa comunicazione dovessero essere tali da consentire a questi ultimi di poter effettivamente fruire del periodo di riposo cui le medesime sono ex lege preordinate. La

Corte d'Appello, pertanto, ritenuto che le modalità di collocazione in ferie adottate nella fattispecie avessero precluso l'effettiva organizzazione e, così, determinato «l'impossibilità di un effettivo ristoro delle energie psicofisiche» da parte dei lavoratori, condannava la società al risarcimento del danno – peraltro, in forma specifica, mediante ri-attribuzione del monte ore illegittimamente decurtato – in favore dei ricorrenti.

Per l'annullamento di tale decisione, proponeva ricorso alla Suprema Corte la datrice di lavoro lamentando, tra il resto, la violazione e falsa applicazione della disciplina di cui agli artt. 36 Cost., 2109 cod. civ. e 10 del D.Lgs. n. 66/2003. La ricorrente, in particolare, riteneva errata la decisione della Corte distrettuale per aver reputato che l'art. 2109 cod. civ. imponesse, sempre e comunque, la preventiva comunicazione a ciascun lavoratore e per ciascun singolo periodo di assenza per ferie, escludendo l'equipollenza della comunicazione datoriale indirizzata alla RSU, nonché per aver trascurato la prassi aziendale di preventiva fruizione delle ferie residue in occasione della collocazione dei lavoratori in cassa integrazione guadagni, con conseguente esclusione di un obbligo di comunicazione del periodo di godimento nei confronti dei medesimi.

A fronte di suddetta censura, la Corte di cassazione – rilevato preliminarmente che la determinazione del periodo feriale, presupponendo una valutazione comparativa di diverse esigenze, «spetta unicamente all'imprenditore quale estrinsecazione del generale potere organizzativo e direttivo dell'impresa», mentre al lavoratore compete la mera facoltà di indicare il periodo entro il quale intende fruire del riposo annuale – decideva come da massima e rigettava il ricorso. E ciò in quanto, secondo la Suprema Corte, nella fattispecie doveva reputarsi accertato che le modalità di comunicazione del periodo di ferie utilizzate dal datore di lavoro fossero «in contrasto con l'oggettivo conseguimento della finalità cui le ferie sono intrinsecamente preordinate», i.e., il ristoro delle energie psico-fisiche da parte dei dipendenti.

Potere di controllo del datore e impiego di investigatori

Cass. Sez. Lav. 24 agosto 2022, n. 25287

Pres. Tria; Rel. Esposito; Ric. C.P.; Controric X.B.S.P.A.;

Lavoro subordinato – Potere di controllo del datore – Impiego di investigatori – Mero sospetto della commissione di illeciti – Legittimità – Limite – Controllo diretto della prestazione lavorativa – Inammissibilità – Fattispecie: dipendente che va in palestra durante l'attività lavorativa scoperto dal detective che controllava altra dipendente – Illiceità del controllo

I controlli effettuati dall'agenzie investigative per essere leciti non devono sconfinare nella vigilanza dell'attività lavorativa vera e propria, riservata, dall'art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori. Pertanto, ne resta giustificato l'intervento solo per l'avvenuta perpetrazione di illeciti e l'esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione.

NOTA

Nel caso di specie il lavoratore si vedeva rigettare tanto in primo quanto in secondo grado l'impugnazione del licenziamento disciplinare intimatogli. In particolare allo stesso era stato contestato l'aver svolto in orario di lavoro attività non attinenti alla sua attività professionale (come il recarsi in supermercati e palestre, distanti anche decine di chilometri dal luogo di lavoro). L'indagine in questione era stata svolta da investigatori privati su incarico del datore di lavoro, a seguito di sospetti emersi nell'ambito di altra investigazione a carico di un collega del lavoratore licenziato, finalizzata a verificare il sospetto di abuso di permessi ex Legge 104.

Contro la decisione della Corte d'Appello ricorreva in Cassazione il lavoratore sostenendo, tra l'altro, che il controllo mediante agenzia investigativa esterna sia da considerarsi lecito solo laddove non travalichi i limiti di cui all'art. 3 Stat. Lav. che rimette i controlli relativi all'adempimento della prestazione lavorativa al datore di lavoro e ai suoi collaboratori. Nel caso di specie, invece, il controllo degli investigatori esterni si era esplicato in merito alla verifica analitica delle modalità di svolgimento della prestazione del lavoratore.

La Suprema Corte ha accolto la doglianza e cassato la sentenza.

Secondo la Cassazione, infatti, il datore di lavoro ben può affidare le attività di controlli a soggetti esterni (agenzie investigative) ma solo laddove le stesse non riguardino l'adempimento delle obbligazioni contrattuali del lavoratore. L'intervento di investigatori esterni è dunque ammesso, conclude la Suprema Corte, al solo fine di accertare l'avvenuta perpetrazione di illeciti non riconducibili al mero inadempimento dell'obbligazione lavorativa e per verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione.

Per un approfondimento sul tema si veda Guida al Lavoro n. 37/2022.

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