Contrattazione

Sostituzione con il Ccnl, scelta da ponderare

di Giampiero Falasca


Il regolamento aziendale può sostituire del tutto la contrattazione collettiva? La scelta è teoricamente possibile, anche se può essere attuata mediante alcune cautele e non necessariamente produce dei benefici per chi la mette in pratica.
In generale, tutte le imprese e i datori di lavoro sono liberi di applicare il contratto collettivo che preferiscono, oppure di non applicarne nessuno (in attuazione del principio di libertà sindacale sancito dall’articolo 39 della Costituzione).
Se vuole scegliere la seconda strada, l'impresa che già applica un contratto collettivo deve comunicare alle parti stipulanti la propria intenzione di non applicare più l'intesa, e deve aspettare la scadenza dell'accordo vigente; dopo tale scadenza, può disapplicare il contratto collettivo, e da quel momento non sono più vincolanti per il datore di lavoro tutte le regole ivi contenute (dalla norme sull'organizzazione del lavoro sino a quelle che prevedono la partecipazione economica a enti bilaterali appositamente costituiti per svolgere specifiche attività).
L'eventuale disapplicazione del contratto collettivo non deve essere obbligatoriamente accompagnata dalla stesura di un regolamento aziendale; tuttavia, questa scelta appare inevitabile, in quanto senza una disciplina completa dei rapporti di lavoro la gestione dell'azienda risulterebbe particolarmente complessa, soprattutto in realtà di media o grandi dimensioni.
In assenza di contratto collettivo, il regolamento ha un ampio spazio di regolazione, nel senso che può disciplinare tutti gli aspetti della vita aziendale: le qualifiche, l'organizzazione dei rapporti di lavoro, la disciplina, e così via.
Questo ampio spazio di intervento incontra, tuttavia, alcuni limiti: in primo luogo, il trattamento economico e normativo riconosciuto ai dipendenti non può essere inferiore a quello stabilito dal contratto collettivo nazionale di lavoro più vicino al rapporto di lavoro.
Questo significa che, pur non applicando il contratto del commercio, un ristorante, pur non applicando tale intesa, non può riconoscere al cameriere uno stipendio inferiore a quello previsto dall'intesa collettiva.
Un altro limite che incontra la libertà di disapplicare il contratto collettivo deriva dall'eventuale rinvio alla disciplina collettiva da parte di specifiche norme di legge.
Si pensi, ad esempio, all'obbligo per le agenzie per il lavoro di versare una percentuale del proprio fatturato al fondo bilaterale per la formazione (denominato Forma.Temp) costituito dalla contrattazione di settore: l'impresa è libera, in coerenza con i principi costituzionali, di non applicare tale accordo collettivo, ma non può sottrarsi all'impegno di contribuire economicamente al predetto fondo, con le modalità definite dalle parti sociali.
Se il datore di lavoro ha scelto di non applicare il contratto collettivo, dando disdetta al vecchio accordo, deve tenere una condotta coerente con tale indicazione; pertanto, deve revocare il “mandato” a trattare eventualmente conferito a un'associazione di rappresentanza datoriale e non deve dare spontanea applicazione a un contratto collettivo.
Ciò in quanto, secondo la giurisprudenza, l'applicazione spontanea di un accordo collettivo oppure il mandato conferito a un'associazione datoriale ad agire per proprio conto hanno come effetto automatico l'obbligo di applicare l'intesa.

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