Contrattazione

Dall’articolo 18 ai controlli: le aziende oltre il Jobs act

di Matteo Meneghello e Matteo Prioschi

Tre anni fa il superamento dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, avvenuto con l’introduzione delle «tutele crescenti», ha attirato l’attenzione di aziende, lavoratori, sindacati. Una norma che si caratterizza (o almeno così era fino a poche settimane fa) per aver definito in modo chiaro e immodificabile dal giudice, l’importo del risarcimento da riconoscere a un lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. Oltre a ciò, ha ridotto i casi in cui, a fronte di un provvedimento «bocciato» in tribunale, il dipendente ha diritto a rientrare in azienda. Un cambio di rotta contrastato dai sindacati, che da subito si sono attivati per neutralizzare tramite accordi collettivi o individuali quanto introdotto a livello normativo. La cronaca sindacale degli ultimi anni ha evidenziato numerosi episodi in cui la trattativa ha portato i rappresentanti dei lavoratori a chiedere e ottenere l’applicazione delle regole contenute nell’articolo 18 della legge 300/1970 anche in quelle situazioni in cui, in presenza di riassunzioni in discontinuità, le imprese avrebbero potuto applicare le nuove regole per i trasferimenti e per i neoassunti.

I numeri non permettono di individuare una tendenza, ma la casistica è rilevante. Alcune situazioni hanno fatto notizia a livello nazionale per la notorietà dell’azienda coinvolta. Tra i tavoli principali si ricordano quelli di Novartis, Ducati, Acea, Franco Tosi, o quello della ex Lucchini. Emblematica la vicenda Ilva, che ha coinvolto circa 14mila addetti. In questo caso la «discontinuità», prevista dal bando, era stata ribadita anche dalla lettera di apertura della procedura, nella quale ArcelorMittal (che ha rilevato gli asset) aveva annunciato l’intenzione di «costituire con i dipendenti selezionati nuovi rapporti di lavoro previa cessazione del rapporto con le società e successiva accettazione da parte degli stessi della proposta formulata, con contestuale sottoscrizione dei verbali di conciliazione». Un annuncio che, insieme alla previsione di circa 4mila esuberi, aveva provocato una dura reazione del sindacato, con conseguente retromarcia dell’azienda grazie alla mediazione del Mise.

In altri casi il tema è emerso nella discussione di accordi sottoscritti per tutelare i dipendenti coinvolti da un passaggio aziendale nel caso di successione di appalti. Le intese prevedono il mantenimento delle condizioni contrattuali preesistenti, tra cui anzianità, eventuali integrazioni salariali, nonché l’applicazione dell’articolo 18 invece delle tutele crescenti. Il tema è entrato con prepotenza anche nella discussione di alcuni rinnovi contrattuali, come nel caso del contratto dell’igiene urbana, ambito in cui i cambi appalto sono frequenti.

In questi casi si trattava comunque di tutelare lavoratori che già erano soggetti alle vecchie regole, ma in altre situazioni (oppure anche in sovrapposizione) è emersa la volontà di prevedere l’applicazione delle stesse ai nuovi assunti. Peraltro (si veda anche il Sole 24 Ore del 3 ottobre, pagina 26) le modifiche introdotte dal decreto dignità (Dl 87/2018) e la decisione della Corte costituzionale annunciata il 26 settembre e non ancora pubblicata, hanno ridotto le differenze tra i due regimi, almeno per quanto riguarda l’importo della somma risarcitoria da riconoscere a fronte di un licenziamento giudicato illegittimo. Anzi, in alcuni casi le nuove regole potrebbero essere più vantaggiose, perché essendo venuto meno il rapporto automatico tra anzianità e di risarcimento (2 mensilità per ogni anno di lavoro), spetta ora al giudice stabilire l’importo e con le tutele crescenti si può arrivare a 36 mensilità rispetto alle 24 dell’articolo 18. Le conseguenze del nuovo quadro normativo sono state esemplificate da un’ordinanza del tribunale di Bari che, a un lavoratore soggetto alle tutele crescenti, ha riconosciuto un indennizzo di 12 mensilità invece di 6.

In realtà, spiega Franco Scarpelli, avvocato e ordinario del diritto del lavoro all’Università Bicocca, l’articolo 18 garantisce ancora maggior tutela in caso di licenziamento per motivi soggettivi, ad esempio nel caso di contestazione di un fatto per cui il contratto collettivo prevede una sanzione conservativa. Per i licenziamenti economici «tenuto conto che ormai è abbastanza acclarato che la reintegrazione è piuttosto rara e la giurisprudenza vede prevalere la tutela indennitaria, la differenza tra i due regimi si è ridotta». In questo contesto, a livello collettivo, «può ancora avere senso contrattare l’applicazione dell’articolo 18, ad esempio in situazioni di esternalizzazioni del personale che non siano trasferimenti d’azienda, per garantire il mantenimento delle condizioni preesistenti». A livello individuale, cioè per quei lavoratori che sono nelle condizioni di ottenere delle condizioni di miglior favore, più dell’applicazione di un quadro normativo o l’altro, secondo Scarpelli è opportuno contrattare «condizioni di stabilità o tutela perché a fronte di licenziamenti per motivi economici la giurisprudenza è diventata più sensibile alle ragioni dell’impresa. Così può accadere che un lavoratore lasci un’azienda per un’altra e dopo poco tempo venga licenziato perché la società si riorganizza per ottenere maggior efficienza, con conseguente soppressione della posizione ricoperta. La tutela può concretizzarsi in una durata minima del contratto o in un congruo indennizzo in caso di risoluzione anticipata». Ma se la tutela in caso di licenziamento ha catalizzato l’attenzione, non va dimenticato che il Jobs act ha modificato altri due aspetti del rapporto di lavoro, cioè i controlli a distanza sui dipendenti e le regole per la modifica delle mansioni. Due situazioni che nei fatti fanno sentire le conseguenze nell’attività di tutti i giorni e non solo alla fine del rapporto di lavoro.

Controllo a distanza

L’intesa sottoscritta tra Bormioli Luigi e Filctem-Femca esplicita che «gli impianti audiovisivi e altri strumenti dai quali derivi la possibilità di controllo a distanza possono essere impiegati solo per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza e per la tutela del patrimonio aziendale», ed è precluso l’utilizzo delle loro risultanze. Nessun controllo è possibile attraverso gli strumenti utilizzati dai lavoratori (pc, tablet, gps e cellulari)

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