Contrattazione

Reintegro solo per fatti tipizzati a rischio di incostituzionalità

di Angelo Zambelli

Con l’ordinanza interlocutoria del 27 maggio 2021, n. 14777, la Sesta Sezione della Corte di cassazione (cosiddetta “Sezione filtro”), ritenuta l’inesistenza dei presupposti per una sollecita definizione della causa, ha disposto la trasmissione del procedimento alla Sezione Quarta Lavoro (si veda il Sole 24 Ore del 28 maggio scorso).

La citata ordinanza, pur non avendo valore decisorio ma soltanto endoprocedimentale, è particolarmente interessante perché solleva una questione che, seppur già affrontata dalla giurisprudenza di legittimità, è stata ritenuta di «rilievo paradigmatico», tanto da giustificare la necessità di una «ulteriore riflessione» sulla portata dell’articolo 18, commi 4 e 5 della legge n. 300/1970, come modificati dalla Riforma Fornero.

La questione riguarda, infatti, la funzione svolta dai contratti collettivi in materia disciplinare, in particolare ai fini dell’applicazione della tutela reale o di quella indennitaria previste dai citati commi.

Il cambio di orientamento

Un primo orientamento giurisprudenziale ha, infatti, applicato la tutela reale di cui all’articolo 18, comma 4, anche in presenza di fattispecie disciplinari individuate dai contratti collettivi in modo del tutto generico.

Più recentemente si è consolidato un diverso orientamento che, in ossequio alla lettera della norma, limita il giudizio di proporzionalità del licenziamento in relazione alle sole fattispecie disciplinari tipizzate in modo dettagliato dalla contrattazione collettiva: il giudice del lavoro non potrebbe ordinare la reintegra laddove la condotta contestata non rientri in una delle fattispecie specificatamente individuate dai codici disciplinari, non essendo consentita un’applicazione analogica e/o estensiva degli stessi.

L’ordinanza in commento ha espresso perplessità in relazione al più recente orientamento.

In primo luogo, è stato osservato che l’attività di sussunzione della condotta contestata nella norma contrattuale che contiene clausole generali non trasmoda nel giudizio di proporzionalità (delegato alle parti sociali), ma riguarda semplicemente l’interpretazione della previsione contrattuale e l’applicazione della stessa alla fattispecie concreta.

In secondo luogo, il più recente orientamento è stato criticato perché in materia disciplinare vi è una sostanziale impossibilità di tipizzare, in modo dettagliato ed esaustivo, tutte le condotte disciplinarmente rilevanti, tanto che, da sempre, i codici disciplinari ricorrono a clausole generali e norme di chiusura. In ogni caso, la mancata tipizzazione di alcune condotte non implica necessariamente che le parti sociali abbiano ritenuto le stesse non meritevoli di sanzione conservativa, ciò anche perché la formulazione dei codici disciplinari non viene concepita dalle organizzazioni sindacali in funzione della distinzione e discrimen tra la tutela reale e quella indennitaria previste, rispettivamente, dai commi 4 e 5 dell’articolo 18.

I principi in discussione

Tali considerazioni, lette anche alla luce delle più recenti sentenze della Corte costituzionale, hanno portato la Sesta Sezione a dubitare della conformità ai principi di ragionevolezza e uguaglianza non tanto dell’articolo 18, comma 4, dello Statuto dei lavoratori quanto del menzionato orientamento giurisprudenziale dello stesso Supremo Collegio che, in nome dell’esigenza (datoriale) di prevedibilità dei costi del licenziamento illegittimo, individua il discrimine tra la tutela reale e quella obbligatoria nel dato (contingente) della più o meno dettagliata tipizzazione degli illeciti disciplinari ad opera dei contratti collettivi o addirittura dallo stesso datore di lavoro.

Secondo l’ordinanza in commento, infatti, configurerebbe una irragionevole disparità di trattamento accordare la tutela indennitaria in caso di condotte aventi minima rilevanza disciplinare solo perché esse non sono espressamente contemplate dai codici disciplinari (collettivi o aziendali).

L'ordinanza interlocutoria n. 14777/2021 della Cassazione

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