Contrattazione

La grande impresa apre (da sola) la strada sulla rappresentanza

di Giorgio Pogliotti

Per i 2,3 milioni di dipendenti della meccanica ci sono 42 contratti collettivi nazionali, ma da solo il contratto principale copre il 62% dei lavoratori, e i primi cinque il 99%. Tra gli oltre 4,1 milioni di lavoratori del terziario, distribuzione e servizi ci sono 235 Ccnl, ma il 52% è coperto dal principale contratto, l’83% dei lavoratori dai primi cinque. Per i 702mila dipendenti dell’edilizia, legno e arredo ci sono 71 Ccnl, il 38% dei lavoratori è coperto dal principale contratto nazionale, l’87% dai primi cinque. Tra i 416mila alimentaristi sui 49 contratti nazionali, il principale copre il 49% dei lavoratori e con i primi cinque si arriva al 96% di copertura.

Sono solo alcuni degli esempi della frammentazione dei contratti depositati presso l’archivio nazionale del Cnel, che lo scorso 22 novembre aveva 933 ccnl, ovvero 77 in più dell’anno precedente (+9%), con la maggior parte dei lavoratori concentrati su pochi contratti. «Questa polverizzazione nasconde spesso fenomeni elusivi o di evasione contributiva - spiega il presidente del Cnel, Tiziano Treu -, insieme a scorrette pratiche di dumping contrattuale a danno di lavoratori (penalizzati da minori tutele normative ed economiche) e delle imprese sane».

Il dumping contrattuale

Per avere un’idea della diffusione del fenomeno basti considerare che i primi 5 Ccnl maggiormente applicati coprono il 25% dei lavoratori, e i primi 16 maggiormente applicati coprono il 50% dei lavoratori. Il dumping è promosso di frequente da sigle scarsamente rappresentative, o addirittura sconosciute, considerando che 353 Ccnl su 933 (il 38%) sono sottoscritti da organizzazioni datoriali e sindacali non rappresentati al Cnel, e coprono soltanto 33mila lavoratori su oltre 12 milioni (lo 0,3%). Senza trascurare i 450 Ccnl sottoscritti da organizzazioni sindacali rappresentate al Cnel con associazioni datoriali non rappresentate al Cnel (48% del totale) che coprono poco più di 1 milione e mezzo di lavoratori. Ci sono poi 772mila lavoratori i cui datori di lavoro non hanno indicato quale Ccnl applicano nel flusso Uniemens. Sul versante numerico, dunque, i contratti maggiormente rappresentativi sono una minoranza rispetto a quelli non rappresentativi: sono 128 i Ccnl sottoscritti da associazioni datoriali e sindacati rappresentati al Cnel (il 14% dei Ccnl vigenti) che coprono più di 10 milioni e 660mila lavoratori (87% del totale).

Il codice alfanumerico

Per frenare questa pratica distorsiva, c’è un nuovo strumento, il codice alfanumerico unico dei contratti collettivi nazionali di lavoro, istituito dal decreto Semplificazioni che ne assegna l’attribuzione al Cnel. In sostanza a ciascun contratto reperibile nell’archivio del Cnel viene abbinato il numero di lavoratori dipendenti ai quali è applicato, rilevato sulla base del flusso di comunicazioni Uniemens che i datori di lavoro trasmettono all’Inps. «Con questo strumento già dai primi mesi del prossimo anno - continua Treu - potremo fare un confronto tra le tabelle salariali dei singoli contratti e le medie dei settori e segnalare, d’intesa con l’Inps, i casi sospetti all’Ispettorato nazionale del lavoro per effettuare controlli mirati. Ci sono settori come la logistica e i servizi che sono maggiormente a rischio. Nella prospettiva di introdurre un “bollino blu” dei contratti di riferimento, possiamo intanto apporre un “bollino rosso” ai contratti stipulati da sigle non rappresentative su cui concentrare i controlli per possibili evasioni contributive». A giudicare dai numeri dell’Archvio del Cnel nel mirino finiranno più di un terzo dei Ccnl sottoscritti da organizzazioni non rappresentate nel Cnel che coprono pochissimi lavoratori. «Il codice unico ci consente di fare un passo avanti storico perché permetterà di approfondire anche i contenuti di ogni contratto - aggiunge Treu-. Ma per far pulizia dei contratti pirata occorre sciogliere il nodo della rappresentanza».

Il Testo unico

Va ancora data piena applicazione al Testo unico del 2014 di Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, ai criteri poi definiti nei protocolli, secondo cui nel privato (come nel pubblico), la soglia di rappresentatività è del 5%, intesa come media tra dato associativo (deleghe conferite dai lavoratori) e risultato elettorale (voti alle elezioni delle rappresentanze sindacali in azienda). Le medesime parti sociali nell’accordo interconfederale del 2018 hanno previsto di misurare anche la rappresentatività delle associazioni datoriali. Il fronte datoriale coinvolto dagli accordi si è poi esteso e l’applicazione è stata affidata alle convenzioni del 2019 tra Inps, Cgil, Cisl e Uil con Confindustria, poi con Confapi e infine con Confservizi.

La sperimentazione

È in corso una sperimentazione sui Ccnl dei meccanici e dei chimici per verificare la rappresentatività dei sindacati (l’Inl sta raccogliendo i dati delle elezioni delle Rsu) che dovrebbe concludersi a fine anno, e il risultato verrà poi certificato dal Cnel. Da parte datoriale, invece, non si è trovata una posizione comune sui criteri di misurazione del peso di ogni associazione di rappresentanza. Anche in questo caso Confindustria, intende giocare d’anticipo: «Da parte nostra ribadisco la volontà di completare il percorso del Testo unico con la misurazione della rappresentanza datoriale - afferma Pierangelo Albini, direttore dell’Area lavoro, welfare e capitale umano di Confindustria-. Se non ci riusciremo per tutti i settori economici, quantomeno siamo pronti a farlo per il perimetro dell’industria manifatturiera e dei servizi». Lo schema, anche in questo caso, potrebbe poi allargarsi agli altri settori, coinvolgendo le altre associazioni datoriali.

Sotto la lente

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