Contrattazione

In due anni recuperato il 70% dei posti «bruciati» dalla crisi

di Marco Fortis

L’aspetto più positivo delle stime sul lavoro diffuse ieri dall’Istat non è costituito tanto dall’aumento di 30mila occupati registrato in Italia a gennaio rispetto a al precedente mese di dicembre, pur benvenuto. Riguarda invece le importanti rettifiche al rialzo che sono state operate sui dati degli ultimi mesi, con una sostanziale modifica all’insù della curva dell’occupazione.

Infatti, dopo tali rettifiche il numero di occupati risulta cresciuto rispetto al minimo della crisi economica, toccato nel settembre 2013, di ben 727mila unità. Considerando che tra l’aprile 2008 e il settembre 2013 erano andati distrutti 1 milione e 63mila posti di lavoro, a tutto gennaio 2017 ne sono stati quindi recuperati oltre i 2/3, di cui +16mila occupati negli ultimi mesi del Governo Letta, +681mila durante il Governo Renzi e +30mila nel primo mese del Governo Gentiloni.

A ciò si aggiunge il fatto che, rispetto a febbraio 2014, durante gli esecutivi Renzi-Gentiloni il numero degli occupati dipendenti permanenti è aumentato di 509mila unità, sull’onda delle decontribuzioni e dell’entrata in vigore del Jobs Act. I posti stabili rappresentano dunque oltre i 2/3 dei nuovi occupati.

Nello stesso periodo il numero totale degli inattivi è diminuito di ben 822mila persone. Questa è la principale ragione per cui, nonostante la forte crescita dell’occupazione (+711mila unità durante gli ultimi due Governi), il tasso di disoccupazione totale è diminuito solo di 1 punto percentuale dal 12,9% all’11,9%. Il tasso di occupazione è però aumentato di 2,1 punti. Inoltre, il tasso di disoccupazione giovanile è sceso di 5,5 punti dal 43,4% al 37,9%.

Le importanti rettifiche al rialzo operate dall’Istat sui dati del lavoro comportano anche una valutazione più positiva della performance occupazionale del sistema economico italiano al netto della componente demografica, aspetto di cui abbiamo già trattato in un precedente articolo (si veda Il Sole 24 Ore del 5 febbraio scorso).

Al riguardo occorre considerare che la popolazione italiana in età lavorativa 15-64 anni era sempre aumentata fino al 2014. Poi si è improvvisamente verificato un cambiamento strutturale senza precedenti per effetto del forte invecchiamento della popolazione e di un debolissimo ricambio di giovani. Basti pensare che tra il marzo del 2014 e il gennaio 2016 la popolazione italiana in età lavorativa è diminuita di oltre 400mila persone, mentre gli occupati appartenenti alla popolazione di 65 anni e oltre sono cresciuti (principalmente per effetto dell’allungamento dell’età pensionabile) soltanto di circa 120mila unità. Ne consegue che se il numero lordo degli occupati è oggi superiore di 711mila unità rispetto a febbraio 2014, la crescita occupazionale al netto della componente demografica è stata verosimilmente molto superiore, probabilmente vicina al milione di persone. Sarebbe interessante se fosse l’Istat stesso a stimare ufficialmente questa cifra, così da permetterci di poterla comparare con analoghe promesse del passato.

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