Contrattazione

Sul lavoro a chiamata il correttivo è «semplice»

di Giampiero Falasca

Mentre la politica discute sulla creazione di strumenti contrattuali capaci di rimpiazzare il lavoro accessorio, le imprese e le famiglie si trovano di fronte a una vera e propria emergenza, connessa alla necessità di trovare una forma contrattuale sostitutiva.

Lo strumento più adatto a svolgere questa funzione sarebbe il lavoro intermittente o a chiamata, definito dall’ articolo 13 del Dlgs 81/2015 come il contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente.

Il condizionale è, tuttavia, necessario, in quanto la possibilità di utilizzare il lavoro a chiamata deve fare i conti con un grande limite: tale contratto si può utilizzare soltanto per l’impiego di persone che non abbiamo compiuto 24 anni di età (quando viene raggiunta la soglia, il rapporto può proseguire al massimo sino al compimento del venticinquesimo anno) oppure che abbiamo superato i 55 anni.

La legge consente alle parti sociali di superare queste soglie anagrafiche, mediante un accordo collettivo stipulato a livello nazionale, territoriale o aziendale, con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Questa strada è tuttavia complicata da percorrere, sia per la scarsa popolarità in sede sindacale di questo contratto, sia per le difficoltà delle imprese di minori dimensioni di accedere alla contrattazione decentrata.

Uno strumento alternativo per superare questa fase di stallo, tuttavia, esiste: l’adozione di un decreto da parte del ministero del Lavoro.

L’articolo 13 del Dlgs 81/2015 stabilisce, infatti, che le soglie anagrafiche sopra considerate non si applicano, oltre che nei casi previsti dalla contrattazione collettiva, per lo svolgimento delle attività di carattere discontinuo individuate dal ministero con apposito decreto.

Alcune attività esentate dalle soglie già esistono, ma coprono una fetta molto ridotta del mercato, in quanto il ministero del Lavoro ha scelto, sinora, di fare riferimento alle prestazioni di carattere discontinuo individuate dal regio decreto 2657 del 1923.

In questo elenco ci sono attività ancora attuali (tra cui custodi, guardiani diurni e notturni, portinai, fattorini, personale addetto all’estinzione degli incendi) ma anche compiti e servizi ormai superati o, comunque, difficili da applicare per il ristretto ambito entro cui sono utilizzabili (personale addetto alla sorveglianza degli essiccatoi, ai gazometri per uso privato, alla guardia dei fiumi, dei canali e delle opere idrauliche).

Il ministero sarebbe legittimato, in qualsiasi momento, a integrare questo elenco, includendovi tutte quelle attività ritenute meritevoli di una disciplina più ampia di quella legale. L’individuazione dei settori da includere nella nuova elencazione potrebbe essere molto semplice: basterebbe ripartire dalle attività che il Dlgs 276/2003 riservava al lavoro accessorio, aggiungendo quelle che, in questi anni, non hanno fatto registrare abusi.

Un intervento di questa natura non sarebbe del tutto risolutivo - il passaggio da lavoro accessorio a lavoro intermittente è comunque oneroso, dal punto di vista procedurale - ma aiuterebbe le imprese e le famiglie che hanno usato sino a oggi in maniera sana e corretta i voucher a trovare uno strumento alternativo.

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