Contrattazione

Per il lavoro del futuro collaborazioni e contratti a chiamata

di Stefania Radoccia

Lo sviluppo sempre più diffuso delle tecnologie all’interno del tessuto sociale e produttivo sta modificando le abitudini e le esigenze delle persone. Ma la digitalizzazione sta avendo (e avrà sempre più) ricadute dirompenti anche nel mondo del lavoro.

Da quanto si evince dai dati pubblicati dal World economic forum, la digitalizzazione avrà, anzitutto, impatti negativi sul tasso di occupazione per cui si stima che, entro il 2020, vi sarà una perdita di oltre 5 milioni di posti di lavoro nel mondo. Crescerà, invece, la richiesta di professionalità ad alto contenuto digitale. La Commissione europea ha calcolato che tale richiesta non sarà totalmente soddisfatta. Infatti entro il 2020 ci saranno 900mila posti non occupati per mancanza di competenze digitali, più del triplo rispetto ai 275mila del 2012. Secondo, poi, un recente studio di Modis, in Italia il 22% dell’offerta di lavoro per posizioni ad alto contenuto informatico non troverebbe candidati all’altezza.

Gli impatti della digitalizzazione incideranno anche sulle modalità attraverso le quali i datori di lavoro si assicureranno la loro collaborazione. Sulla base, infatti, di uno studio Intuit, entro il 2020 il 40% dei lavoratori americani sarà independent contractor e avrà contemporaneamente più datori di lavoro. Andrà diminuendo, inoltre, l’importanza della sede aziendale di lavoro, sostituita da spazi in condivisione tra più aziende (coworking) e da modalità di lavoro agile (smart working). Tale tendenza pare, inoltre, confermata anche da uno studio condotto da EY nel 2016, secondo il quale negli ultimi 10 anni gli Stati Uniti hanno assistito a un incremento di ben il 66% delle collaborazioni temporanee (lavoro contingente) mentre nel Regno Unito i lavoratori autonomi sono aumentati del 28 per cento.

A fronte di tale scenario, se da un lato occorre formare le nuove generazioni (e aggiornare le vecchie) allo sviluppo di determinate competenze digitali, dall’altro appare sempre più necessario rimodulare l’attuale sistema del lavoro e, in particolare, rendere più flessibili gli strumenti contrattuali esistenti. In particolare una disciplina meno rigida del contratto di lavoro intermittente – oggi imbrigliata all’interno di regole stringenti – potrebbe rivelarsi utile in questo percorso. Infatti, l’assenza di un’adeguata regolamentazione da parte di molti contratti collettivi penalizza l’utilizzo da parte dei datori di lavoro di tale strumento, in tali casi limitato a specifiche fasce di età (under 24 e over 55) e con un ristretto campo di utilizzo (400 giornate nel corso di 3 anni). Anche per le collaborazioni autonome personali, oggi pregiudicate dal rischio di essere eterorganizzate e, quindi, non genuine, potrebbero essere reintrodotti quei requisiti scriminanti (di competenze tecniche e compenso minimo) già elencati dalla legge Fornero e, poco dopo, eliminati dal Jobs act.

Anche gli attuali sistemi di politiche attive del lavoro e i servizi di recruitment andranno integralmente rimodulati se si pensa che nel 2015 oltre 18 milioni di persone nel mondo hanno trovato lavoro attraverso l’utilizzo dei social network.

I segnali del cambiamento globali appaiono chiari, così come chiara è la sfida che la digitalizzazione ha lanciato a tutti gli operatori del mercato. La partita del cambiamento non potrà più essere rimandata e imporrà al legislatore e alle parti sociali interventi strutturali ma necessari per accompagnare la rivoluzione digitale.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©