Contrattazione

Corte Ue: sì al «job on call» fino a 25 anni

di Massimiliano Biolchini e Edoardo Maria Ceracchi

Dopo l’intervento del Governo con la recente reintroduzione dei voucher lavoro, arriva dalla Corte di giustizia Ue un ulteriore supporto alle esigenze di flessibilità dell’attuale mercato del lavoro in Italia.

Con una importante sentenza depositata ieri, la Corte di giustizia Ue ha infatti confermato la legittimità della normativa italiana in materia di contratto di lavoro intermittente (o job on call ) con specifico riferimento alla disposizione (attualmente contenuta all’articolo 13 del dlgs 81/2015) che consente l’assunzione di soggetti con particolari requisiti di età (nella fattispecie, meno di 24 anni purché le prestazioni vengano svolte entro il 25° anno). La Corte riconosce altresì la legittimità del conseguente recesso datoriale al raggiungimento di detto limite di età, escludendo che ciò determini un trattamento discriminatorio nei confronti del lavoratore.

Il caso, ben noto alle cronache giudiziarie (si veda, da ultimo, il Sole 24 Ore del 24 marzo 2017), sul quale si è espressa la Corte di giustizia, attiene alla vicenda di un giovane lavoratore (avente all’epoca meno di 25 anni) assunto da una nota azienda multinazionale di moda mediante contratto di lavoro intermittente e licenziato al compimento del 25° anno per ragioni connesse al solo raggiungimento di tale limite anagrafico, come appunto consentito dalla normativa italiana per tale tipologia contrattuale.

Il successivo giudizio instaurato dal lavoratore aveva visto il rigetto in prima istanza del ricorso e poi l’accoglimento del successivo appello (con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro) poiché i giudici del gravame avevano ritenuto che la normativa italiana in questione fosse in contrasto con il divieto di discriminazione in base all’età sancito dalla Carta dei diritti fondamentali Ue e dalla direttiva 2000/78. Del caso veniva così investita la Cassazione, la quale a sua volta sottoponeva questione pregiudiziale alla Corte Ue circa la compatibilità della normativa nazionale sul contratto a chiamata con il divieto di discriminazione in base all’età sancito dalla normativa europea su richiamata.

Ebbene, con la pronuncia in commento (caso C-143/16), la Corte Ue ha definitivamente sancito che la normativa italiana non è contraria alla normativa europea perché persegue una finalità legittima di politica e di espansione del mercato del lavoro, con particolare riguardo alla più debole categoria sociale dei giovani, mediante strumenti appropriati e necessari a conseguire tale finalità.

In particolare, la Corte Ue ha accolto le argomentazioni formulate dall’azienda e dal Governo rilevando come in un contesto di perdurante crisi economica e di crescita rallentata, la situazione di un lavoratore che abbia meno di 25 anni e che, grazie ad un contratto di lavoro flessibile può accedere al mercato del lavoro, è senz’altro preferibile rispetto alla situazione di colui che tale possibilità non abbia e che, per tale ragione, si ritrovi disoccupato. Dall’altro lato, la stessa Corte ha rilevato altresì come le aziende possano essere sollecitate ad assumere proprio dall’esistenza di uno strumento contrattuale poco vincolante e meno costoso rispetto al contratto di lavoro ordinario e, quindi, incentivate ad assorbire maggiormente la domanda d’impiego proveniente dai giovani.

In definitiva, dunque, per la Corte Ue la normativa italiana in materia di lavoro intermittente per i lavoratori infra-venticinquenni introduce certamente una differenza di trattamento dei lavoratori fondata sull’età, ma con la legittima finalità di favorire l’occupazione giovanile e consentire a tali lavoratori di avere una prima esperienza lavorativa funzionale al successivo accesso stabile al mercato del lavoro.

La sentenza C-143/16 della Corte di giustizia Ue

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