Contrattazione

Sui salari pesa il cuneo fiscale

di Cristina Casadei

Se i contratti collettivi nazionali di lavoro, sul piano salariale, hanno «fatto il loro dovere», come dicono i sindacati, e cioè hanno recuperato l’inflazione, fatta eccezione per il pubblico impiego, non resta che una spiegazione al fatto che i salari reali sono sempre più bassi, come mette in evidenza il rapporto 2017 realizzato dall’istituto di studi e ricerche Lab della Fisac-Cgil, (presieduto dal segretario generale della Fisac Agostino Megale), presentato ieri alla Camera del lavoro di Milano. E cioè il cuneo fiscale. «Bisogna ridurre l’aliquota del 38% e del 27% consentendo ai ceti medi di pagare meno tasse», secondo la ricetta di Megale.

Dall’elaborazione del Lab emerge che dall’accordo del 23 luglio 1993 ad oggi, 24 anni dopo, i salari sono fermi. All’inizio della crisi, nel 2007, il salario reale di fatto era di 30mila euro lordi annui in media mentre nel 2017 è pari a 29.100 euro. C’è stata una perdita mensile di 75 euro, e senza crescita, aumentano le diseguaglianze nel paese e nel lavoro. Diseguaglianze che sono rappresentate nel fatto che il 20% della popolazione detiene il 70% della ricchezza nazionale, mentre il 60% della popolazione vive con il 13% della ricchezza nazionale, secondo Lab. A queste diseguaglianze macro, si aggiungono le diseguaglianze geografiche e di genere: salari più bassi percepiscono le donne rispetto agli uomini (-20%), i lavoratori al Sud, rispetto alla media nazionale (-14%) e i giovani (-21%), i precari (-23%) e gli immigrati (-20%).

Pur avendo recuperato l’inflazione, i salari, però, non sono cresciuti come in altri paesi, in particolare Germania e Francia. «In media nel 2016 il lavoratore tedesco percepisce oltre 9mila euro in più lordi di quello italiano, mentre quello francese oltre 7mila euro in più», dice Megale. «Tra le cause c’è anche la produttività che è ferma da 19 anni, con un differenziale di 28 punti con la Germania e di 25 con la Francia, a causa del crollo degli investimenti sia pubblici che privati», interpreta Megale.

Ciò che continua a crescere nel nostro paese è invece la pressione fiscale. Essendo cresciuto il salario nominale sono cresciute anche le tasse per cui il paradosso è che i contratti nazionali hanno consentito una buona tenuta salariale, ma i salari netti sono rimasti fermi a 20 anni fa, e «un lavoratore in media paga 215 euro al mese di tasse in più», sostiene Megale. Tra le categorie più penalizzate ci sono i bancari perché «nelle banche i salari sono più alti e di conseguenza è stato più forte il peso delle tasse», dice il segretario generale della Fisac. Alla luce di questi dati «non resta che ridurre le tasse sul lavoro», insiste Megale che già pensa al prossimo contratto. Così come il presidente del Casl di Abi, Eliano Omar Lodesani, che ha ascoltato con la massima attenzione manifestando la disponibilità a riaprire il dialogo sul rinnovo con tutte le sigle, con forte spirito di collaborazione per poter avviare un confronto chiaro e aperto sulle tematiche più rilevanti, guardando anche alle innovazioni delle nuove formule contrattuali. «Nel prossimo rinnovo dovremo pensare all’occupazione giovanile - dice Megale - all’aumento dei salari e a come offrire tutele al mondo delle partite Iva». Un modello da questo punto di vista già c’è ed è l’accordo sui cosiddetti contratti ibridi, in fase di sperimentazione, siglato in Intesa Sanpaolo.

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