Contrattazione

Bocciata la stipula successiva al contratto

di Daniele Colombo

Quali sono gli elementi che devono essere rispettati perché il patto di prova sia valido? In linea generale, la clausola che prevede lo svolgimento di un periodo di prova è apposta per lo più a favore del datore di lavoro, perché consente di “testare” le effettive capacità e competenze del dipendente nell’affrontare le mansioni per le quali è stato assunto. Inoltre, durante il periodo di prova, le parti possono interrompere il rapporto senza obbligo di motivazione (si veda la sentenza della Cassazione, sezione lavoro, 1180 del 17 gennaio 2017).

Il licenziamento per mancato superamento del periodo prova, invero, non obbliga il datore di lavoro a motivare il recesso ovvero a rispettare il preavviso e/o a pagare la relativa indennità sostitutiva prevista dalla contrattazione collettiva, essendo le parti libere di recedere.

I vincoli da considerare

La prova non può avere una durata superiore a sei mesi o al diverso periodo previsto dalla contrattazione collettiva. Il patto può essere apposto sia in un contratto a tempo indeterminato sia in un contratto a tempo determinato, così come in un contratto di apprendistato. Il patto di prova costituisce un elemento accidentale del contratto, che non sussiste né può produrre effetto se non espressamente previsto dalle parti nel contratto individuale.

Il primo requisito di validità del patto di prova è la forma scritta, in mancanza della quale è prevista la nullità del patto stesso (articolo 2096 del Codice civile).

Il patto deve essere stipulato anteriormente o contestualmente al contratto di lavoro. L’eventuale patto di prova stipulato successivamente alla conclusione del contratto di lavoro è nullo. Allo stesso modo, la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti di lavoro tra le stesse parti non è ammissibile, rendendo invalido il secondo patto di prova apposto al contratto.

Questa seconda clausola, tuttavia, è valida se consente all’imprenditore di verificare le qualità professionali del lavoratore in relazione all’esecuzione di nuove e diverse mansioni rispetto a quelle precedentemente espletate in forza di un diverso contratto di lavoro (Cassazione, sentenza 17371 del 1° settembre 2015).

L’indicazione delle mansioni

Il patto di prova deve contenere l’indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto. Soprattutto quando si tratta di un lavoro intellettuale e non meramente esecutivo, queste non devono necessariamente essere indicate nel dettaglio, essendo sufficiente che, in base alla formula adoperata nel documento contrattuale, siano determinabili (Cassazione, sezione lavoro, sentenze 10618 del 22 maggio 2015 e 5509 del 19 marzo 2015).

La giurisprudenza ha ritenuto sufficiente a integrare il requisito della specificità, ad esempio, il riferimento al sistema classificatorio della contrattazione collettiva, quanto meno ove il richiamo sia fatto alla nozione più dettagliata (così Cassazione, sentenza 17045 del 19 agosto 2005) e sempre che il rinvio sia sufficientemente specifico (Cassazione, sentenza 11722 del 20 maggio 2009; sentenza 13455 del 9 giugno 2006).

In questo senso, ad esempio, la dizione «analyst consultant» utilizzata in un contratto individuale potrebbe non essere di contenuto specifico, soprattutto in assenza di indicazioni ulteriori sull’area di operatività del lavoratore. La stessa espressione, poi, potrebbe rivelarsi poco pregnante soprattutto se non corrisponde ad alcuno dei profili professionali contemplati dal Ccnl applicabile (Tribunale di Milano, sentenza 730 dell’8 aprile 2017).

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