Contrattazione

Vincoli per i camerieri «a chiamata»

di Antonino Cannioto e Giuseppe Maccarone

I camerieri, il personale di servizio e di cucina delle imprese artigiane alimentari (pizzerie al taglio, rosticcerie, ecc.) non operanti nel settore dei pubblici esercizi, non possono essere assunti con contratto di lavoro intermittente.

Così si è espresso il ministero del Lavoro con la prima risposta a interpello del 2018, diffusa ieri.

A inaugurare l’anno in corso, è stato il Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro, il quale ha chiesto al Ministero se i soggetti sopra indicati, le cui attività sono descritte al punto n. 5 della tabella allegata al regio decreto n. 2657/1923, potessero essere inseriti in azienda in modalità intermittente, anche se le mansioni sono svolte in ambiti diversi da quelli indicati nella norma del 1923.

I tecnici del dicastero, ricostruendo la normativa di riferimento, hanno escluso questa possibilità, in quanto non rispondente alla disciplina in materia. Secondo il Ministero, infatti, per essere oggetto del lavoro a chiamata, l’attività si deve svolgere esattamente nei settori indicati e la nozione di «esercizi pubblici in genere», contenuta al punto 5 più sopra richiamato, non può essere estesa anche alle imprese artigiane alimentari, non operanti nel settore dei pubblici esercizi.

Peraltro, hanno affermato i tecnici ministeriali, non va dimenticato che tale settore, unitamente a quelli del turismo e dello spettacolo, usufruisce già di una specifica deroga normativa che consente di disapplicare la limitazione triennale delle 400 giornate di utilizzo dei lavoratori a chiamata.

Ricordiamo che in origine il decreto legislativo 276/03 (previsione successivamente confermata anche dall’articolo 13, del decreto legislativo 81/2015) aveva demandato ai contratti collettivi il compito di individuare le esigenze di ricorso al contratto a chiamata. In tale circostanza, tuttavia, il legislatore prevedendo, forse in via antesignana, una resistenza della contrattazione collettiva a disciplinare la fattispecie, all’articolo 40 della medesima norma aveva anche stabilito che, in assenza di disciplina contrattuale, il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali avrebbe potuto individuare - in via provvisoria e con proprio decreto - i casi di ricorso al lavoro intermittente.

Stante la perdurante assenza di disciplina dell’istituto da parte della contrattazione, il Ministero è intervenuto sull’argomento, in via provvisoria e non sostitutiva, con il decreto 23 ottobre 2004, ammettendo la stipulazione di contratti di lavoro intermittente con riferimento alle tipologie di attività indicate nella tabella allegata al regio decreto 6 dicembre 1923, n. 2657. Con la circolare 4/2005, sul punto, il Dicastero ha anche sottolineato che il rinvio alle attività (contenute nella tabella del 1923) dovesse essere considerato come parametro di riferimento oggettivo per sopperire alla mancata individuazione da parte della contrattazione collettiva, onde consentire il decollo della particolare forma di rapporto di lavoro.

L'interpello n. 1/18 del ministero del Lavoro

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