Contrattazione

Comuni e sanità, aumenti da giugno

di Gianni Trovati

Dovrebbero cambiare da giugno le buste paga di circa 1,5 milioni di dipendenti pubblici negli organici di sanità, regioni ed enti locali.

È questo l’effetto della certificazione ottenuta dalla Corte dei conti sulle intese siglate all’Aran il 21 febbraio («Funzioni locali», che comprendono regioni, province, città metropolitane e comuni) e il 23 febbraio scorso (sanità). Ora manca solo l’ultimo passaggio, formale ma decisivo, con la convocazione dei sindacati all’Agenzia per la firma definitiva: convocazione che i sindacati hanno subito fatto sapere di attendere «a breve».

I tempi per passare in fretta ai fatti, del resto, ci sono tutti, dal momento che le buste paga vengono preparate in genere entro il giorno 10 del mese di riferimento. Per il 10 giugno, quindi, la firma definitiva dovrebbe essere arrivata e tutto sarebbe pronto per applicare gli aumenti.

A rendere “ricco” il primo stipendio rinnovato saranno prima di tutto gli arretrati, che tradurranno in cifre l’eredità degli aumenti graduali previsti a valere sul 2016 e 2017 e sui primi mesi di quest’anno. La cifra varia da caso a caso, ma per esempio per un livello medio negli enti locali («categoria C1» si attesteranno a 750 euro. Per i calcoli relativi a ogni profilo bisogna sommare i mini-incrementi previsti per il 2016, quelli un po’ più consistenti messi in calendario nel 2017 e quelli a regime relativi ai primi cinque mesi del 2018. Su quest’anno il monte degli arretrati da recuperare è alimentato anche dall’«elemento perequativo» dei mesi di marzo, aprile e maggio.

Proprio questo «elemento perequativo» rappresenta infatti la novità principale di questa tornata contrattuale.

Per alzare un po’ il livello degli aumenti, con un’attenzione particolare alle fasce retributive più basse, gli accordi hanno infatti aggiunto alle nuove cifre a regime questo tassello temporaneo, che vale per il periodo marzo-dicembre in regioni ed enti locali e parte invece da aprile nel caso della sanità.

Gli aumenti, quindi, viaggiano su un doppio binario. Quelli a regime valgono in media 65 euro lordi al mese negli enti territoriali, e oscillano da 52 a 90,3 euro a seconda del gradino occupato dal dipendente nella scala gerarchica. In sanità invece la media viaggia a 66,9 euro, e va dai 50,5 euro del gradino più basso ai 90,8 di quello più alto. Fino a dicembre, poi, gli stipendi saranno puntellati dall’«elemento perequativo», che vale 29 euro al mese (30 nella sanità) per le fasce retributive inferiori e scende via via fino a 2 euro (4 nella sanità) per chi è si colloca nello scalino immediatamente inferiore alla dirigenza. Ma questo significa anche che da gennaio, se la manovra non si preoccuperà del problema, proprio chi riceve gli stipendi più bassi si vedrà alleggerire di più la busta paga con la caduta dell’aumento temporaneo.

Per avere certezze sulle prospettive bisognerà però aspettare il superamento dello stallo politico, che oggi impedisce di prevedere quale sarà l’atteggiamento del prossimo governo nei confronti del pubblico impiego. E ostacola, en passant, anche lo sviluppo del confronto appena partito sul nuovo contratto dei dirigenti.

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