Contrattazione

Semplificazione? Soltanto nei licenziamenti individuali i regimi di tutela salgono a 13

di Cl.T.

C’è un altro punto che il decreto estivo del Governo Conte, oltre a irrigidire le norme sui rapporti a tempo, riscrive con il rischio, stavolta, di disorientare non solo gli operatori, ma anche gli investitori internazionali. Modificando, in rialzo, gli indennizzi, minimo e massimo, in caso di licenziamento illegittimo nel nuovo contratto a tutele crescenti, da 4 a 24 mensilità si passa a 6 e 36 mensilità, di fatto, si torna a rivedere il quadro dei regimi di tutela oggi esistenti a fronte di recessi datoriali ingiustificati. Nei soli licenziamenti individuali, se ne contano ben 13; una selva di normative, che non tiene conto dei licenziamenti collettivi, e di quelli dei dipendenti pubblici, che, addirittura, sono ancora regolati dall’articolo 18 nella sua formulazione originaria, datata 1970.

Certo, il tema è delicato, e si protrae da anni. Il decreto Conte invece di porre un freno e semplificare, ha finito per accodarsi alle varie riforme degli ultimi anni, preoccupato più di disfare e correggere che di dare certezze, favorendo l’occupazione stabile che, ora, rischia di uscirne penalizzata.

E così, prendiamo, per esempio, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, meglio noto come “economico”. Oggi, per i vecchi assunti, in base alla legge Fornero del 2012, se l’atto datoriale è illegittimo perché il fatto è “manifestamente insussistente” scatta la reintegrazione attenuata, vale a dire il ritorno in azienda e in più un indennizzo massimo fino a 12 mensilità. Se invece lo stesso licenziamento è illegittimo ma il fatto sussiste la sanzione è un risarcimento “forte” fino a un massimo di 24 mensilità. Se poi il licenziamento sempre per giustificato motivo oggettivo è fatto dopo il 7 marzo 2015, la normativa di riferimento cambia nuovamente. Qui trova applicazione il Jobs act, con la tutela indennitaria. Ma attenzione, fino all’entrata in vigore del decreto Conte, vale la progressione, da 4 a 24 mensilità; dopo quella data, la norma modificata, da 6 a 36 mensilità. Se poi lo stesso licenziamento economico si pratica in una impresa sotto i 15 dipendenti, se la risorsa è un vecchio assunto, scatta l’indennizzo, minimo 2,5 mensilità massimo 6/14; dopo il Jobs act, si passa a 1 mensilità per anno di servizio (minimo 2, massimo 6). Ma, anche qui, il ristoro economico cambia con l’applicazione del decreto Conte: dopo la sua entrata in vigore si dovrà corrispondere da 3 (rispetto agli attuali 2) a 6 mensilità.

La fotografia non cambia per il licenziamento disciplinare, e per quelli con vizi formali e procedurali. «Ormai la situazione è paradossale - commenta Raffaele De Luca Tamajo, professore emerito di diritto del Lavoro alla «Federico II di Napoli» -. La sovrapposizione per stratificazioni successive ha prodotto una selva normativa in cui è complicato muoversi. Se l’obiettivo degli ultimi Legislatori doveva essere quello di dare certezza preventiva sulle conseguenze di un licenziamento illegittimo, ebbene l’obiettivo non è stato colto. Di qui l’urgenza di un serio ripensamento per unificare il più possibile questi regimi, che così come sono presentano iniquità, sconcertano le imprese e non garantiscono neppure il lavoratore».

La selva dei regimi sui licenziamenti illegittimi

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