Contrattazione

Plebiscito all’Ilva di Taranto. Il 94% dice sì ad ArcelorMittal

di Domenico Palmiotti

Con il 94% di voti favorevoli, lo stabilimento di Taranto dell’Ilva, accende il semaforo verde. Ok all’intesa che lo scorso 6 settembre, al Mise, hanno raggiunto Arcelor Mittal, nuovo investitore, e sindacati metalmeccanici Fim Cisl, Fiom Cgil, Uilm e Usb con la mediazione del ministro Luigi Di Maio. Diviene quindi operativo l’accordo che prevede 10.700 assunti subito da parte della multinazionale, l’accelerazione dei lavori di risanamento ambientale nel sito di Taranto, il mantenimento delle garanzie dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, un bonus di 100mila euro lordi a testa per quei lavoratori che decidessero di andar via su base volontaria e incentivata e la garanzia che nel 2023, per coloro che rimarranno all’amministrazione straordinaria di Ilva e andranno in cassa integrazione, Mittal avanzerà una proposta di occupazione e scongiurerà il rischio che diventino esuberi.

Il 94% a Taranto, dove le sigle metalmeccaniche hanno un consenso elevato stando all’ultimo rinnovo Rsu, è il dato migliore di tutta la consultazione referendaria. L’accordo ha infatti ottenuto nei giorni scorsi il 90,1% a Genova, l’89,4 a Novi Ligure, l’87 a Racconigi e il 63 Marghera. Su 10.805 aventi diritto, i votanti a Taranto sono stati 6.866 pari al 63,5 per cento, i favorevoli 6.452 e i contrari 392. Il dato di Taranto colpisce anche per un’altra ragione. Il sì ottiene un’affermazione rilevante nella città dove a marzo l’M5S, che ha fatto campagna elettorale all’insegna della chiusura della fabbrica, ha ottenuto più del 50% dei voti, raccolto molto consenso operaio ed eletto cinque parlamentari. L’esito del referendum però dimostrerebbe che il consenso elettorale all’M5S è stato frutto più di ragioni di dissenso generale che di volontà di vedere l’Ilva chiusa. E adesso, oltretutto, i Cinque Stelle sono a Taranto nella bufera. L’elettorato si sente tradito e chiede le dimissioni dei parlamentari locali.

Commentano Fim, Fiom e Uilm: «Esprimiamo grande soddisfazione per il risultato raggiunto. Dopo 6 anni dal sequestro dell’area a caldo, 12 decreti salva Ilva e decine di scioperi, con l’approvazione dell’accordo da parte dei lavoratori, si chiude una delle vertenze più complesse del nostro Paese. L’intesa - si afferma - porta in dote 4,2 miliardi di investimenti per il rilancio del siderurgico, 1,25 miliardi industriali, 1,15 miliardi ambientali a cui si sommano 1,2 miliardi sequestrati ai Riva per le bonifiche e l'ambiente. Risorse ingenti che serviranno a rendere sicuro, sostenibile ambientalmente e competitivo il sito tarantino, con l'autorizzazione integrata ambientale per il sito tarantino tra le più restrittive d'Europa». Giudizio, questo, nient'affatto condiviso dagli ambientalisti, per i quali il rischio sanitario dovuto all’inquinamento non é scongiurato.

Per Marco Bentivogli, segretario generale Fim Cisl, «con la ripartenza dell’Ilva, il nostro sistema industriale segna un punto importante al suo attivo. Però il fatto che lo spettro della chiusura abbia per lungo tempo aleggiato su Taranto, dimostra l’immaturità delle nostre classi dirigenti e la percezione alterata che hanno non solo della rilevanza del settore manifatturiero, ma pure del giudizio che di noi si fanno gli investitori internazionali ogni qualvolta, per ragioni di tornaconto politico, si mettono in discussione assets fondamentali per l'economia italiana». «L'accordo dimostra che le multinazionali possono investire nel nostro Paese conservando le tutele, a partire dall’articolo 18 e dal mantenimento degli attuali livelli salariali, e garantendo tutta l’occupazione» commenta Francesca Re David, segretaria generale Fiom-Cgil. E infine Rocco Palombella, segretario generale Uilm, parla di «risultato storico per quanto riguarda l’approvazione di piattaforme riorganizzative, un risultato senza precedenti nella storia sindacale degli ultimi anni».

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