Contrattazione

Il governo riduce la stangata sulle auto aziendali: tasse al 60%

di Maurizio Caprino e Luca De Stefani

Alla fine di una giornata di polemiche politiche e critiche degli operatori del settore, mentre già le imprese iniziavano a fare i conti sul suo impatto, la stretta fiscale sul fringe benefit ai lavoratori dipendenti legato all’uso privato delle auto aziendali è stata allentata. Nella tarda serata di ieri, il ministero dell’Economia ha fatto filtrare la notizia che nella bozza della legge di Bilancio la stretta, che già si iniziava a valutare nell’ordine dei 500 milioni di euro, sarà rimodulata.

Dunque, se nelle prime ipotesi divenute pubbliche il valore tassabile dell’uso privato del mezzo aziendale saliva dal 30% al 100% del costo chilometrico calcolato dall’Aci nelle sue tabelle ufficiali su una percorrenza annua di 15mila chilometri, ora viene annunciata una rimodulazione. Che non elimina la stangata, ma la attenua per la maggior parte dei dipendenti.

Per quanto è stato lasciato trapelare, la rimodulazione creerebbe tre fasce di modelli.

Il passaggio al 100% viene lasciato solo per le «vetture superinquinanti». Non è chiaro se questa espressione sia riferita alle emissioni nocive o a quelle di CO2.

Nel primo caso, verrebbero penalizzati i modelli meno recenti, che non rispettano ancora gli standard emissivi Euro 6 (le flotte aziendali sono più moderne rispetto alla media del parfco circolante, ma ciò non toglie che abbiano ancora una quota rilevante di esemplari Euro 5).

Nel secondo caso, si colpirebbero i modelli anche recentissimi che hanno consumi elevati (la CO2, che è “solo” un gas climalterante, è direttamente proporzionale ai consumi). E i motori a benzina verrebbero sempre penalizzati più dei diesel.

Ci sarebbe poi una seconda fascia di modelli - in cui rientrerebbe la stragrande maggioranza delle attuali flotte aziendali - che subirebbe un aggravio più contenuto, ma comunque molto sensibile. La quota di percorrenza per uso privato tassabile, infatti, raddoppierebbe : dal 30% al 60% (che secondo il ministero sarebbe nella media Ocse) dei 15mila chilometri.

Dagli aggravi di tassazione verrebbe salvata soltanto una terza fascia, quella delle auto elettriche o ibride, per le quali resterebbe il 30%. Non è chiaro come verra definita ufficialmente questa categoria: teoricamente potrebbero rientrarvi anche le recentissime mild e micro hybrid, classificate ufficialmente sulle carte di circolazione come ibride ma con consumi ed emissioni non tanto più basse rispetto a quelle tradizionali a benzina.

Il ministero precisa che verranno esclusi dagli aggravi i veicoli «utilizzati a fini commerciali», che però non erano stati mai toccati perché almeno concettualmente non vengono mai usati a fini privati.

In ogni caso, va detto che nelle flotte aziendali attuali la preminenza è ancora degli esemplari a gasolio. Quindi la maggior parte degli utenti ricadrebbe nella seconda fascia e subirebbe un prelievo raddoppiato. Lasciando sul tappeto l’ipotesi che per tutta la giornata di ieri era stata allo studio delle imprese: dismettere le flotte aziendali per passare al rimborso al dipendente dei viaggi compiuto con mezzi propri.

Sarebbe quel «salto indietro di decenni che ci allontana ulteriormente dagli standard europei» e favorisce l’uso di mezzi più vecchi (più inquinanti e meno sicuri), lamentato ieri in un comunicato congiunto Anfia, Assilea, Federauto e Unrae (associazioni di case automobilistiche, concessionarie, noleggiatori e società di leasing).

Secondo le associazioni, si colpisce un canale fondamentale del mercato, peraltro composto per il 72% « dai segmenti più bassi (ma vi rientrano molti mezzi di servizio non utilizzati nel tempo libero, ndr), non certo da supercar». E si agisce «in modo negativo anche sul mercato delle vetture a zero o basse emissioni, la cui diffusione è alla base dell’ecobonus introdotto lo scorso anno, contraddicendo la volontà del Governo di dare vita a un “Green New Deal”».

Altra contraddizione “ecologica” è il fatto che il Governo non ha ancora aggiornato i valori di deducibilità, per le imprese, dei rimborsi chilometrici per l’utilizzo dell’auto personale per lavoro, fermi all’epoca dei cavalli fiscali (legati alla cilindrata) e quindi non applicabili ai motori elettrici (che non hanno cilindrata), come Il Sole 24 Ore ha denunciato il 26 giugno.

Le imprese già dal 2012 stavano valutando l’ipotesi di passare al rimborso chilometrico, perché la già limitata deducibilità e detraibilità dei costi di acquisizione e utilizzo delle auto aziendali era stata ulteriormente tagliata.

Con l’uso aziendale del mezzo del dipendente, l’impresa può dedurre, ai fini Ires o Irpef (nel limite delle tariffe Aci), il costo sostenuto per rimborsargli i chilometri percorsi durante le trasferte fuori dal comune sede di lavoro, mentre in capo al percettore (senza partita Iva). E il rimborso non viene mai tassato al dipendente, neanche se supera le tariffe Aci.

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