Contrattazione

Lavoro agile emergenziale con attivazione semplificata

di Ornella Lacqua

L’istituto dello smart working è diventato lo strumento contrattuale più utilizzato per poter continuare l’attività lavorativa anche durante la pandemia. In realtà, nel caso dello smart working semplificato dalle norme a contrasto del Covid, si è perlopiù dato vita ad una modalità “ibrida” di lavoro agile.

Cerchiamo allora di fissare alcuni punti sulla disciplina generale.

Attuabilità

Il presupposto fondamentale per attivare la modalità agile nel rapporto di lavoro è la compatibilità con le caratteristiche della prestazione che si richiede al dipendente.

Lato datore di lavoro si devono analizzare: le necessità lavorative e le abitudini dei dipendenti; le politiche di lavoro flessibile e le prassi organizzative già attive in azienda; le presenze in azienda e il riempimento degli spazi; la dotazione tecnologica e il suo utilizzo. Dal punto di vista dei lavoratori, va effettuata un’analisi demografica dell’organico e una valutazione delle esigenze emergenti ai fini della conciliazione vita-lavoro, considerando anche la distanza casa-lavoro. Pertanto, nella declinazione ordinaria, la valutazione circa la fattibilità è rimessa al datore di lavoro in accordo con le esigenze del dipendente: questo schema classico dello smart working presuppone però che l’attività non debba svolgersi necessariamente in presenza.

Prima della pandemia il ricorso allo smart working era basato sul fatto che la mansione potesse avvenire indifferentemente da remoto piuttosto che sul posto di lavoro. Invece, nella prima fase emergenziale le raccomandazioni del legislatore hanno portato a forme di lavoro agile solo da remoto senza nessuna alternanza con prestazioni in presenza, facendo modificare anche diversi aspetti dell’organizzazione aziendale.

Rifiuto

Il lavoratore, quando richiesto, ha l’obbligo di accettare lo smart working emergenziale e il rifiuto non motivato è passibile di sanzione disciplinare. Infatti, il lavoro agile ha assunto rilievo durante l’emergenza sanitaria configurandosi soprattutto quale mezzo di tutela della salute dei lavoratori, in aggiunta agli obblighi del datore di lavoro di adottare le misure necessarie per preservare l’integrità psico-fisica dei dipendenti e quelle volte ad assicurare la sicurezza sui luoghi di lavoro.

Nell’ambito delle norme emanate d’urgenza per contenere i contagi da Covid-19, hanno rilevato, in primo luogo, quelle finalizzate a applicare il lavoro agile, in via automatica a ogni rapporto di lavoro subordinato, prima alle sole aree a rischio e, in seguito al protrarsi della crisi sanitaria e per tutta la sua durata, a tutto il territorio nazionale. Con l’emanazione delle successive norme emergenziali, il legislatore ha espresso una raccomandazione sull’impiego del lavoro agile cui è seguita la necessità di una sua prioritaria applicazione da parte del datore di lavoro privato.

La sostanziale convivenza col coronavirus, l’alternanza tra periodi caratterizzati da misure più restrittive e misure meno drastiche, l’attuazione dei protocolli di sicurezza negli ambienti di lavoro e, infine, la prospettata fase di vaccinazione, rende più labili i confini tra esigenze sanitarie e esigenze organizzative dell’impresa. È possibile in questa fase tornare alle origini del lavoro agile, alternando fasi di lavoro in presenza - sempre nel rispetto delle regole di sicurezza - e fasi di lavoro da remoto.

Dispositivi

Dall’inizio della pandemia, esclusi i rapporti con modalità agile già avviati da tempo, i dispositivi di lavoro e le connessioni alla rete sono stati apportati dal lavoratore, nella maggior parte dei casi. Per evitare contenziosi rispetto alla legge 81/2017 il legislatore, con l’articolo 90, del Dl 342/2020, ha stabilito che la prestazione lavorativa agile possa essere svolta anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente, qualora non siano forniti dal datore di lavoro.

Si tratta di un intervento di tipo strutturale, vale a dire non soltanto collegato all’emergenza, che avalla la prassi corrente e introduce una nuova modalità di svolgimento della prestazione investendo il lavoratore di un obbligo di manutenere i dispositivi in sua disponibilità.

Accomodamenti ragionevoli

Infine, ci si chiede se il lavoro agile possa rientrare nella categoria dell’accomodamento ragionevole, previsto all’articolo 2, comma 4, della Convenzione Onu delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia con la legge 18/2009. In pratica, costituiscono accomodamenti ragionevoli tutte quelle modifiche ed adattamenti necessari disposti per rendere la postazione di lavoro accessibile, che non impongono un dispendio di risorse economiche e materiali eccessivo per il datore di lavoro e che consentono alla persona con disabilità di lavorare su base di eguaglianza con gli altri.

Non essendo prevista alcuna esclusione circa le misure che il datore di lavoro è obbligato a porre in essere a titolo di soluzione ragionevole, nell’ambito di detti accomodamenti sembrerebbe, pertanto, inserirsi anche il lavoro agile, essendo una modalità di esecuzione della prestazione lavorativa che prevede la virtualizzazione della sede e/o dell’orario di lavoro dei lavoratori subordinati, inclusi i disabili.

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