Contrattazione

Il welfare aziendale aumenta la resilienza durante la pandemia

di Cristina Casadei

Nella pandemia la vera sorpresa è arrivata dal welfare privato, rivelatosi un fattore abilitante per fronteggiare crisi sanitaria e ripresa produttiva. Un anno fa, da un giorno all’altro, aziende e sindacati hanno iniziato a contrattare vorticosamente per tamponare un’emergenza inimmaginabile.

Si ferma la produzione e allora arriva l’accordo per il ricorso al godimento delle ferie pregresse, e poi le ferie solidali per chi ha esaurito le proprie ed è impiegato in ruoli o mansioni “sospese”. E gli ammortizzatori.

Chiude la scuola e allora via ai congedi. Non bastano. Ecco l’accordo per quelli aggiuntivi. Arriva il contagio. Scendono in campo i fondi e le casse di assistenza sanitaria integrativa, dal Sanimoda al MetaSalute, da Altea a Faschim, che hanno esteso le tutele per i propri iscritti riconoscendo, per esempio, un’indennità giornaliera in caso di ricovero e/o isolamento domiciliare a causa della positività a Covid-19. Arrivano anche le campagne dei tamponi ai lavoratori e quelle per i vaccini influenzali. Veri beni e servizi di lusso di quest’ultimo anno. Adesso è il momento dei vaccini Covid che vedono le aziende in prima linea (si veda il Sole 24 Ore del 17 febbraio).

«Verosimilmente, le imprese che nel 2019 avevano già avviato esperienze di welfare si sono trovate meglio preparate della concorrenza quando si è trattato di rispondere alle sfide poste dalla pandemia. Queste aziende si erano già dotate di misure di assistenza ai familiari e cura, formazione, flessibilità organizzativa. La lezione di questa esperienza ci fa capire quanto sarebbe importante sviluppare il welfare aziendale e occupazionale anche nelle Pmi e su tutto il territorio italiano», spiega il professor Michele Tiraboschi, coordinatore scientifico di Adapt e curatore di Welfare for people, il rapporto Ubi Banca (gruppo Intesa Sanpaolo) e Adapt di cui anticipiamo la terza edizione. Per il consigliere delegato di Ubi Banca, Gaetano Miccichè, «gli attori delle relazioni industriali che non avevano sperimentato il welfare aziendale, in senso stretto, sono stati colti impreparati, mentre chi aveva già attuato forme di welfare aziendale si è mostrato pronto a gestire una emergenza che porta ora le imprese a dover fare necessariamente i conti con le trasformazioni del lavoro. Le misure e le politiche di welfare aziendale si sono rivelate un importante supporto per il sistema produttivo».

A preparare il terreno di quella che il professor Tiraboschi definisce la grande “reattività” del privato durante la pandemia ci sono anni e anni di contrattazione. Nella terza edizione di Welfare for people i ricercatori si sono soffermati su due settori e cioè la chimica-farmaceutica e la metalmeccanica. A livello territoriale, invece, dopo Brescia e Bergamo, il focus è stato su Cuneo. Nella chimica-farmaceutica, il contratto nazionale, siglato da Federchimica, Farmindustria e sindacati, ha sicuramente un ruolo centrale anche nell’orientare il welfare aziendale. Dal contratto si dipana un vasto sistema di bilateralità di settore con il Fonchim, il Faschim e l’organismo bilaterale chimico per la formazione (OBCF), solo per citare alcuni strumenti. I contratti aziendali della chimica-farmaceutica, sottoscritti negli ultimi 4 anni, a partire dal 2016, dicono che «la flessibilità organizzativa e la conciliazione vita-lavoro rappresentano il 71% delle misure di welfare contrattate a livello aziendale», dice Tiraboschi.

Molto diffuse anche le previsioni sui buoni acquisto e sui flexible benefits (53%). Segue, con una percentuale significativa, la previdenza complementare (35%). Altrettanto importante, in termini di diffusione, è l’ambito della formazione (33%). Rilevanti sono le disposizioni in materia di assistenza sanitaria integrativa (27%). Anche nei nuovi contratti aziendali della metalmeccanica (dove Federmeccanica, Assistal e i sindacati hanno rinnovato il contratto, in corso di approvazione da parte dei lavoratori) sottoscritti nel 2019 cresce l’attenzione per le misure di conciliazione, presenti nel 52% delle intese. Crescono la diffusione di prestazioni di mensa e buono pasto che arriva a oltre un terzo delle realtà (38%), così come le previsioni sulla formazione. Contenute le misure di previdenza complementare che si fermano al 15% e di sanità integrativa (13%). Più in generale, il 56% dei contratti prevede la welfarizzazione del premio di produttività, quasi il doppio del 2018 (30%), il quadruplo del 2017 (14%), per non dire del 2016 quando era solo il 3% a prevedere questa modalità di erogazione del premio. La diffusione del welfare prevale però nelle grandi imprese e proprio per questo, conclude Tiraboschi, «diventa interessante osservare il welfare di territorio».

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