Contrattazione

Cambio di registro per lo smart working

di Maria Teresa Iannella e Stefania Radoccia

Con l’approvazione in Senato del decreto Milleproroghe sarà possibile ricorrere al lavoro agile, in deroga alla legge 81/2017, anche oltre il 31 marzo, come previsto in precedenza, e ora fino al 30 aprile senza necessità di accordo tra le parti e di obblighi informativi, sia per i datori di lavoro pubblici, sia privati.

Il periodo emergenziale ha consentito di sperimentare sul campo e in modo abbastanza diffuso questa modalità di svolgimento della prestazione di lavoro in forma semplificata. Da tale esperienza occorre dunque trarre spunti di riflessione, anche per comprendere la possibile evoluzione di questo strumento nel prossimo futuro.

Tuttavia, se una cosa si può dire del lavoro agile emergenziale, cui abbiamo assistito da un anno a questa parte, è che esso è stato ben poco smart. Utilizzato quale strumento di gestione sanitaria del contagio, in realtà si è tramutato, di fatto, in un remote working forzato, ove sono del tutto mancati elementi quali la volontarietà della scelta e la flessibilità spazio-temporale, ma si sono anche accentuate le rigidità che governano le logiche del lavoro in presenza; sicché il luogo di lavoro ha finito per coincidere con il domicilio del lavoratore, senza che si sia realizzata quell’alternanza tra la sede di lavoro e il luogo esterno.

Ma cosa ne sarà del lavoro agile nel prossimo futuro? Gli indicatori che emergono dagli studi organizzativi e dalle indagini degli osservatori EY rilevano che la prosecuzione dello smart working potrebbe portare al consolidamento di un modello “ibrido”, con un equilibrio caratterizzato da 2/3 giorni alla settimana di lavoro da remoto; sarà comunque interessante in futuro capire quanto questo trend resterà invariato in una situazione di normalità rispetto al contesto attuale. Tuttavia, al di là della intrinseca positività del dato, lo smart working va progettato e gestito, perché sarebbe un grave errore pensarlo come uno strumento per tutti e per sempre, attraverso cui semplicemente si “lavora da casa”. Il lavoro agile richiede, invece, un profondo ripensamento dell’organizzazione di tempi, spazi e modi di lavoro, nonché delle basi su cui si fonda la relazione tra lavoratore e impresa; la logica dovrebbe ispirarsi ai principi di responsabilità, autonomia e fiducia. Una relazione che, così impostata, determina un cambiamento delle modalità di esecuzione del rapporto contrattuale: non più valutazione del dipendente sul tempo e sulla presenza ma sul risultato e di qui l’attribuzione di obiettivi al lavoratore con gestione autonoma dei tempi di lavoro.

Per realizzare quella rivoluzione culturale, come da molti definita, occorre una regia che parta da una analisi organizzativa dei profili professionali e delle attività che nel concreto possono essere svolte in modalità agile, dalla formazione sulle competenze e sulla cultura aziendale che deve condurre a un equilibrio in un contesto digitalizzato che se, da un lato, porta con sé indubbi vantaggi in termini di flessibilità e autonomia, dall’altro impone riflessioni sulla invasività degli strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. A tal riguardo, il 21 gennaio scorso il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione recante raccomandazioni alla Commissione Ue sul diritto alla disconnessione del lavoratore, formalizzate in una proposta di direttiva. La proposta rappresenta il primo tentativo di definire a livello comunitario un diritto alla disconnessione, inteso come diritto sociale fondamentale dei lavoratori, in quanto strettamente collegato al loro benessere e alla loro salute fisica e mentale trattandolo principalmente come un tema di salute e sicurezza.

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