Contrattazione

Jobs act, la parola dei giudici riscrive le tutele dei lavoratori

di Angelo Zambelli

Negli ultimi anni si è registrato un numero inusitato di interventi della Corte costituzionale in materia di tutele contro i licenziamenti illegittimi.

A farne le spese sono stati i due tentativi di riforma del mercato del lavoro dell’ultimo decennio, il Jobs act e la legge Fornero, che hanno entrambi inciso in maniera significativa sulla materia dei licenziamenti, in un’ottica di mitigazione delle tutele riconosciute ai lavoratori nei casi di recessi accertati in giudizio come illegittimi.

Prima di allora il nostro sistema aveva costruito intorno all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori un’imponente stratificazione giurisprudenziale, che ne aveva garantito la stabilità in un arco temporale molto rilevante.

Nel momento in cui tale equilibrio è stato messo in discussione, si è innescata una immediata quanto brusca reazione a catena avviata dalle Corti di merito che, con numerose ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale, hanno intrapreso un processo demolitorio che ha avuto come principale bersaglio il sistema delle tutele crescenti introdotto dal Jobs act.

Da quel momento in poi la Consulta, a partire dalla storica sentenza 194/2018 e completata, più di recente, con la sentenza 150/2020, ha dichiarato incostituzionale il meccanismo aritmetico di determinazione dell’indennità risarcitoria in caso di licenziamento illegittimo basato sul solo parametro dell’anzianità di servizio, gradualmente smantellando l’impianto del Jobs act e restituendo ai giudici ampi margini di discrezionalità nella determinazione della sanzione economica da applicare nel caso concreto.

Sulla scia delle pronunce d’incostituzionalità del Jobs act, la Consulta ha altresì bocciato (lo scorso 24 febbraio, pronunciandosi sull’ordinanza di rimessione del Tribunale di Ravenna del 7 febbraio 2020) quella norma della legge Fornero che attribuiva al giudice una discrezionalità ritenuta eccessiva (perché scevra da criteri determinati per legge) nell’escludere la tutela reintegratoria nei casi di manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo posto alla base del licenziamento.

A fronte di questi interventi riformatori, tuttavia, il giudice delle leggi (con sentenza 254/2020) ha dichiarato infondato l’incidente di costituzionalità concernente la distinzione tra vecchi e nuovi assunti introdotta dal Jobs act ai fini dell’applicazione delle tutele in caso di licenziamenti illegittimi, preservandone in tal modo uno dei principi cardine.

A conferma della correttezza di tale approccio è giunta pochi giorni fa la sentenza della Corte di giustizia europea (causa C-652/19), pronunciatasi su una questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Milano il 5 agosto 2019, che ha confermato la compatibilità anche con il diritto comunitario del criterio di differenziazione delle tutele basato sulla data di assunzione del lavoratore.

Alla luce delle numerose pronunce intervenute, risulta una volta di più confermato il ruolo di presidio e garanzia della coerenza della disciplina in materia di licenziamenti di entrambe le alte Corti, in particolare del sistema sanzionatorio a essa collegato, ricordando al legislatore come la volontà di riformare il mercato del lavoro non possa prescindere da norme corrette dal punto di vista tecnico-giuridico e, soprattutto, conformi ai principi della nostra Carta costituzionale e del diritto comunitario. A prescindere dalle finalità politiche di volta in volta perseguite.

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