Contrattazione

Lavoro a termine, causali affidate ai contratti

di Claudio Tucci

Via le causali rigide fissate per legge, rimettendole alla contrattazione collettiva. Prevedere forme di incentivazione per spingere le aziende ad assumere anche a tempo determinato, sostenute, ad esempio, da sgravi contributivi, sulla falsariga di quanto previsto da Emmanuel Macron in Francia. Terzo: allungare i rapporti temporanei a 36 mesi (oggi 24), e comunque non contando il periodo pandemico nei limiti di durata. Quarto: eliminare i contributi addizionali o quanto meno sterilizzarli almeno sino a fine anno.

Dopo la doccia fredda dei dati Istat sul lavoro di martedì (si veda Sole24Ore di ieri, meno 945mila occupati in un anno, di cui -372mila a termine), si è aperto il cantiere per modificare, sostanzialmente, il decreto dignità, che ha irrigidito i rapporti di impiego a tempo determinato, somministrazione inclusa, solo lievemente attenuato (limitatamente a proroghe e rinnovi) dagli ultimi provvedimenti del governo.

A ragionare sul tema sono Lega, Pd e Fi, che, contattati da questo giornale, chiedono al governo, e al ministro del Lavoro, Andrea Orlando, di intervenire. «In una fase come questa vanno allargate le maglie della flessibilità concedendo ai lavoratori qualsiasi opportunità di lavoro subordinato anche se a termine - ha sottolineato la sottosegretaria al Lavoro, Tiziana Nisini (Lega) -. Quando termineranno le misure emergenziali occorrerà sostenere i datori a creare occupazione. Ho presentato al ministro Orlando un pacchetto di proposte per valorizzare la flessibilità buona da inserire nell’iter di conversione del decreto Sostegni. Ad esempio, come Lega abbiamo chiesto di non computare nelle durate i contratti a tempo determinato stipulati durante il periodo di pandemia, e in ogni caso di riportare la durata massima a 36 mesi almeno per i rapporti instaurati entro il 31 dicembre 2022. Sono poi favorevoli ad affidare le causali alla contrattazione collettiva. Con il prossimo scostamento di bilancio, affronteremo anche il tema dei contributi addizionali, 1,4 sui nuovi contratti, oltre 0,5 per i rinnovi, che ritengo doveroso eliminare».

La valorizzazione dell’autonomia negoziale nella gestione delle causali trova d’accordo il Pd, che da mesi, ad esempio con Debora Serracchiani, oggi capogruppo Dem alla Camera, è favorevole a una maggiore flessibilità sul lavoro a termine. «Ancorare le causali alla fonte legislativa produce un effetto di rigidità che non sempre si traduce in una maggiore propensione alle stipulazioni di contratti a tempo indeterminato - ha spiegato il professor Antonio Viscomi (Pd), membro della commissione lavoro di Montecitorio e ordinario di diritto del lavoro all’università di Catanzaro -. Ciò vale a maggior ragione in questi tempi di radicale incertezza e di necessaria e urgente trasformazione ecologica e digitale dei sistemi produttivi. Per questo fin dall’inizio della vicenda parlamentare del decreto dignità chiediamo di valorizzare a fini regolativi l’autonomo dialogo tra le parti sociali». Sì anche a riportare la durata massima del contratto a termine a 36 mesi: «Non trovo ragioni valide in questa fase per non farlo - ha aggiunto Viscomi -. Anche qui potrebbe essere valorizzata la negoziazione collettiva. In questa fase, e dopo aver letto i dati Istat sulla competitività delle imprese, credo necessario uno sforzo collettivo per sostenere innovazione e ripresa occupazionale».

Anche Fi, con Paolo Zangrillo, membro della commissione lavoro della Camera, e un’esperienza di oltre 30 anni come direttore del personale, è d’accordo a modificare, strutturalmente, il decreto dignità: «Lo sostegno da un anno e mezzo - ha detto Zangrillo -. Con la pandemia normative così rigide hanno avuto un effetto diabolico sul lavoro. Ci aspetta un ciclo economico di 2-3 anni di instabilità, e i contratti a tempo saranno uno degli strumenti per la ripartenza. Parliamo di flessibilità buona e tutelata. Nella mia passata esperienza da direttore Hr nel 98% dei casi ho trasformato lavoratori assunti a termine».

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