Contrattazione

Con l’outplacement ripartenza in sei mesi, inclusi gli over 45

di Cristina Casadei

Nelle migliaia di storie di persone che anche nell’anno della pandemia hanno trovato un nuovo posto di lavoro con l’outplacement (ricollocazione) c’è quella di Stefano Cordara che, a 45 anni, è rimasto imbrigliato nella riorganizzazione della multinazionale del settore legale dove lavorava come facility manager. I servizi di outplacement del suo pacchetto di uscita si sono rivelati preziosi «per apprendere un metodo, iniziato con l’assessment, il riallineamento delle competenze, la riscrittura del curriculum e l’uso dei social finalizzato alla creazione di un network utile per trovare un lavoro che mi interessasse fare», spiega. Adesso Cordara di anni ne ha 46, «quasi 47», dice, e ha un nuovo lavoro. Sempre come facility manager in una società di consulenza dove si è ricollocato dopo 6 mesi di outplacement «nel periodo più sbagliato». Qualche momento di scoraggiamento non è mancato e per superarlo «il supporto del mio consulente, così come i workshop sono stati molto utili - dice -. Nonostante tutto si sia svolto da remoto, per ragioni sanitarie».

Nella cassetta degli attrezzi finalizzata a far rimanere dentro il mercato del lavoro le persone, «è il momento di riconoscere la validità dell’outplacement. È molto utilizzato perché obbligatorio in paesi come per esempio la Francia, la Spagna o il Belgio. I numeri dell’Italia dove lo strumento è stato introdotto con professionalità specialistiche 30 anni fa, invece, pre pandemia, si fermavano a 10mila candidati seguiti all’anno», racconta Cetti Galante, amministratore delegato di Intoo (Gi group), la società più grande del settore. Partiamo proprio dai dati per fare alcune considerazioni. Quelli di Intoo dicono che per effetto del blocco dei licenziamenti, nel 2020, in valore assoluto, c’è stato un calo del 40% delle prese in carico, passate dalle oltre 2.000 del 2019 a poco più di mille. Tra l’altro va anche ricordato che la legge Biagi prevede che il singolo non può acquistare servizi di outplacement, quindi o è l’azienda ad acquistarli oppure non se ne fa nulla. «Le percentuali di successo però sono in crescita, a conferma che lo strumento, anche in un anno così difficile in cui si è bloccato il mercato in uscita e conseguentemente anche in ingresso, ha funzionato - spiega Galante -. Le oltre 1.000 persone tra dirigenti, quadri, impiegati e operai, per lo più sopra i 45 anni, supportate da Intoo nel 2020, hanno ritrovato lavoro nell’85% dei casi in sei mesi e mezzo, il 70% come dipendenti, il resto optando, invece, per l’avvio di un’attività autonoma. Dal momento che l’età media delle persone che abbiamo ricollocato è sopra i 45 anni, questi tassi sono ancora più eclatanti».

Gli incentivi per lo strumento
Per Aiso, l’associazione italiana che riunisce le società del settore, il blocco dei licenziamenti non ha potuto contrastare un aumento della disoccupazione e non è stato affiancato da un potenziamento di strumenti utili alla ricollocazione, come appunto l’outplacement. Negli ultimi mesi Aiso «ha potenziato il dialogo con le istituzioni e i partiti, dove abbiamo trovato un forte interesse verso questo strumento - spiega il presidente Cristiano Pechy (che è anche amministratore delegato di Lee Hecht Harrison di The Adecco group). Il servizio che offriamo è un ingranaggio in più nella macchina italiana che permette la ricollocazione delle persone e ne aumenta l’employability. È uno strumento utile alla ricollocazione ma non utilizzato abbastanza». Diversi i motivi che ci spiegano questa scarsa penetrazione nel mercato. «Da un lato, il sindacato non è tipicamente un promotore dell’outplacement perché è focalizzato nella massimizzazione del pacchetto economico in uscita e spesso dunque propone la monetizzazione del servizio di outplacement - interpreta Galante -. Le imprese, invece, in molti casi, percepiscono l’outplacement per lo più come ulteriore costo, che si va ad aggiungere ai tanti che ci sono per la gestione della crisi e delle eventuali uscite. Proprio per questo sarebbe necessario sostenere le imprese nell’adozione più massiva di questo acceleratore della ricollocazione». A incentivare l’uso dello strumento potrebbero esserci diverse leve, continua Pechy, come per esempio «la defiscalizzazione, ricomprendendolo tra i servizi finanziabili con i fondi interprofessionali». Oppure, aggiunge Galante, «includendolo in una delle linee del recovery fund dedicate al lavoro. Questa ultima azione sarebbe utilissima per finanziare il costo del servizio su quelle imprese che falliscono e non hanno dunque fondi per pagare il servizio di outplacement. È però fondamentale anche la regolamentazione del servizio che deve essere gestita a livello ministeriale con monitoraggio della qualità delle società autorizzate».

Il vantaggio per lo Stato
Ci sarebbe anche un potenziale vantaggio per lo Stato. Le statistiche dicono che mediamente una persona si ricolloca in un anno, con l’outplacement questo tempo è dimezzato. Accelerare i tempi di rientro nel mercato del lavoro vuol dire risparmiare risorse pubbliche. «Se stimiamo 6 mesi medi di risparmio della Naspi per persona, arriviamo a quasi un miliardo di euro risparmiati per ogni 150mila persone supportate - calcola Galante -. Lo scopo fondamentale del sistema pubblico deve essere minimizzare i tempi di transizione da un lavoro all’altro, riducendo così la durata degli ammortizzatori passivi e facendo rientrare le persone più velocemente nel sistema contributivo». In questo momento non si può dire che il mercato sia completamente bloccato. Certamente è un dinamismo molto diverso dal passato. Lee Hecht Harrison, per esempio, «ha conosciuto una flessione tra il 20 e il 30% nel primo lockdown ma poi ha recuperato da settembre in poi e lo scorso marzo i tassi di ricollocazione sono saliti al 92%, dieci punti sopra la nostra media che è tra l’82 e l’83%. Il mercato è molto vivace ma vive il paradosso delle persone che sono in cerca di lavoro e dei professionisti che non si trovano. Sicuramente c’è una crisi strutturale di alcuni settori e quindi serve formazione guidata per indirizzare le persone verso quelli che sono in crescita come per esempio la logistica o i servizi alla persona». L’outplacement, abilitando la persona a trovare lavoro, favorisce la proattività personale, come quella di Alessandra Pozzato. Pozzato di anni ne ha 49 e per 29 ha lavorato come impiegata in una multinazionale del settore health care. «Mi sono dovuta rimettere in gioco dopo molti anni nella stessa società, seguendo un percorso che ha toccato anche l’aspetto motivazionale, quello della formazione, della simulazione dei colloqui, dell’uso dei social». Come è finita? Pozzato oggi ha un nuovo lavoro, sempre come impiegata, in un’azienda medio piccola del settore chimico. E sottolinea: «A meno di 25 chilometri da casa»

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