Contrattazione

Smart working e digital guidati. Anche a favore delle donne

di Giorgio Pogliotti

«Perseguire uno sviluppo sostenibile significa avere la capacità di soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di fare altrettanto. E trasferire questo concetto in un’organizzazione aziendale significa accompagnarne l’evoluzione investendo nel capitale umano: per questo è necessario che l’azienda sia inclusiva e che faccia proprio il concetto di flessibilità che abbiamo sperimentato - e stiamo ancora sperimentando - nel corso della pandemia. Perché lo smart working e la digitalizzazione, se non opportunamente guidati, rischiano di farci tornare indietro, accentuando il divario di genere. Questo è stato uno degli aspetti che più ci preoccupava
e a cui abbiamo cercato di
dare risposta».

Con Ilaria Dalla Riva, direttore Risorse Umane e Organizzazione di Vodafone Italia affrontiamo, in un colloquio ad ampio raggio, le sfide aperte dalla pandemia che ha accelerato i cambiamenti nell’organizzazione del lavoro, in un contesto già caratterizzato dalla trasformazione digitale. Il modello sostenibile di Vodafone è codificato in una serie di accordi con i sindacati, come quello sullo smart working che entrerà in vigore al termine dell’emergenza e che ha coinvolto tutti i 6mila dipendenti prevedendo l’adozione del lavoro agile per l’80% dell’orario di lavoro mensile dei dipendenti del call center e per il 60% dell’orario nelle altre aree aziendali, oltre a nuove misure di welfare. «Vodafone da questo punto di vista aveva un vantaggio competitivo perché ha adottato lo smartworking dal 2012 in maniera progressiva, sviluppando un’attitudine culturale a lavorare per obiettivi – spiega Dalla Riva-. Alla fine dello stato emergenza trascorreremo in ufficio circa 8-10 giorni al mese, una settimana per i dipendenti del call center: un sistema non del tutto flessibile per evitare il rischio che, senza un obbligo di presenza in ufficio, a stare a casa siano più le donne che gli uomini. Condizioni di maggior flessibilità sono previste per i caregiver, per le persone con disabilità, per i neogenitori e i genitori unici. Stiamo ripensando anche i layout dei nostri uffici, creando spazi per lavorare insieme, fare formazione, condividere la cultura e gli obiettivi dell’azienda». Ma se il lavoro da casa può provocare stress, come assicurare l’equilibrio tra tempi di vita e di lavoro? «Abbiamo disciplinato in modo flessibile il diritto alla disconnessione - aggiunge
Dalla Riva -. Il lavoro dovrà essere svolto nella fascia oraria compresa tra le 9 e le 19 nel limite dell’orario di lavoro previsto dal contratto. Dunque niente riunioni in videoconferenza nella fascia oraria 13-14 o dopo le 19 in cui va garantita la disconnessione».

L’accordo con il sindacato sul lavoro da remoto è accompagnato da interventi sul welfare per favorire la conciliazione tra vita lavorativa e familiare: «In aggiunta alle misure già esistenti, come la copertura al 100% dello stipendio dei 4 mesi di congedo di maternità facoltativo che si sommano ai 5 mesi di legge - aggiunge la manager -, abbiamo lanciato e valorizzato il parental leave, un congedo genitoriale inclusivo per i dipendenti che non possono accedere al trattamento di maternità previsto dalla legge e che prevede la possibilità di richiedere un congedo fino a sedici settimane retribuite al 100% dello stipendio. Se vogliamo ridurre il gap di genere, il tema della genitorialità deve essere condiviso. Abbiamo anche adottato una policy sulla violenza domestica, che consente di fruire di 15 giorni di permesso retribuito, oltre che del supporto psicologico di un medico competente e di servizi di consulenza per affrontare i momenti difficili».

Ma con l’evoluzione digitale il mismatch tra le competenze richieste dall’azienda e quelle offerte dai lavoratori rischia di ampliarsi. Un altro tassello della strategia aziendale è rappresentato dall’evoluzione delle competenze dei dipendenti, avviata già a partire dal 2018 e accelerata con il Fondo gestito da Anpal. «Siamo tra i primi ad aver usufruito del Fondo nuove competenze, a cui abbiamo avuto accesso dopo la sottoscrizione di un nuovo accordo sindacale, a dimostrazione di un consolidato sistema di relazioni industriali - continua Dalla Riva-. Ci siamo posti il problema di quali competenze serviranno nei prossimi anni: saranno competenze di tipo digitale, legate alla tecnologia, alla rete, all’IoT, al marketing digitale. Siamo partiti con una mappatura delle competenze esistenti in azienda, abbiamo avviato una survey interna, sollecitando un’autovalutazione degli stessi dipendenti. Il percorso di formazione prevedeva fino a 120 ore, in sostanza 5 giorni al mese per 3 mesi per il call center, e 40 ore, ovvero 5 giornate nei 3 mesi per le altre funzioni aziendali. Si è trattato di uno spazio di tempo “protetto”, dedicato alla formazione. L’obiettivo è dare a tutti le digital skill sulle principali tecnologie emergenti. Il progetto di reskilling favorirà l’impiegabilità dei dipendenti, assicurando che abbiano le competenze per ricoprire i ruoli che serviranno soprattutto in ambito Big Data, 5G e Intelligenza artificiale».

La digitalizzazione, però, rischia di ampliare le differenze di genere in Italia, che ha pochi laureati nelle discipline Stem, e in larga prevalenza uomini (abbiamo il 24,6% di laureati Stem, solo il 16,2% tra le ragazze). Eppure la gran parte della domanda delle aziende si concentra proprio su questi profili professionali. «Anche quest’anno prevediamo assunzioni nel mondo dei Big Data, dell’Intelligenza Artificiale, dell’IT e della Robotic Process Automation - conferma la manager-. Facciamo fatica quando dobbiamo cercare profili Stem, soprattutto tra le ragazze. Per spingere le giovani a scegliere questi percorsi, organizziamo nelle scuole progetti affidati alle nostre manager, perché possano essere dei modelli di riferimento per le ragazze. Bisogna intervenire nell’orientamento scolastico al liceo, quando è il momento di scegliere. Nelle scuole abbiamo anche promosso il progetto “Code like a girl”, con corsi di coding rivolti alle studentesse». Le policy aziendali possono contribuire a ridurre il divario di genere, spesso più accentuato ai livelli manageriali: «L’obiettivo del 40% di donne in posizioni manageriali è stato raggiunto - continua Dalla Riva-. Da anni stiamo lavorando sullo sviluppo delle carriere interne, con formazione, coaching e mentoring. Nella selezione per posizioni manageriali la rosa finale deve sempre prevedere un candidato uomo e una candidata donna. Il comitato risorse si riunisce ogni 4 mesi per analizzare quali posizioni si sono liberate, e come sono state ricoperte. La diversità nell’ambiente di lavoro è una ricchezza, ed è anche un fattore di
competitività».

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