Contrattazione

I sindacati bancari: post emergenza basta lavoro agile al 100%

di Cristina Casadei

«Io allo smart working non ci credo». Il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, coglie l’occasione per lanciare la provocazione - e forse anche un messaggio - nel corso dell’evento online a tappe organizzato dalla Fabi, La primavera nelle banche, che ieri è stato dedicato proprio allo smart working e al digitale. Nel dialogo con i segretari generali di tutte le sigle del credito, Riccardo Colombani (First Cisl), Nino Baseotto (Fisac Cgil), Fulvio Furlan (Uilca), Emilio Contrasto (Unisin), il presidente del Casl di Abi, Salvatore Poloni, il vicepresidente di Federcasse Matteo Spanò e il segretario nazionale della Fabi, Luca Bertinotti, si è fatto avanti un sindacato che si muove con molta cautela su una modalità di lavoro dove la remotizzazione e il digitale hanno un peso molto forte. In premessa, Poloni ha rimarcato che bisogna tenere distinti digitale e smart working che certamente si incrociano ma non vanno sovrapposti. «Il credito, in tempi non sospetti, ha disciplinato il lavoro agile con un accordo entrato a far parte dell’ultimo contratto nazionale di lavoro. Rileggendolo si trova scritto che le parti hanno voluto sostenere il diffondersi di modelli organizzativi che favoriscano la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Nato per migliorare il work life balance durante la pandemia è diventato lo strumento per raggiungere l’obiettivo del distanziamento. Oggi non possiamo tarare il new normal sull’esperienza fatta in emergenza. Modelli più equilibrati e più sostenibili di quelli attuali potranno essere trovati quando ci saremo stabilizzati».

Mentre il credito è in attesa di vedere molte cose, tra cui anche come si evolverà la situazione di Carige, di Mps e, non ultimo, cosa dirà il prossimo piano industriale del gruppo Intesa Sanpaolo, Sileoni dice che «il sindacato lavorerà per consentire ai bancari che vorranno continuare a fare smart working di farlo, ma anche a coloro che vogliono rientrare di poterlo fare. Certamente questa modalità di lavoro non deve diventare solo un modo per ridurre i costi, allo stesso modo in cui il digitale non può essere l’occasione per riformare gli inquadramenti». Baseotto sottolinea che «lo smart working è una grande opportunità a condizione che sia frutto di accordi negoziali e contrattuali» e che ne venga rispettato lo spirito in cui «ha una grande parte la volontarietà», aggiunge Furlan. A preoccupare Colombani è «la perdita dei presidi bancari sul territorio», a cui si aggiunge «una digitalizzazione che sta emarginando le persone anziane che sono anche quelle che hanno i maggiori risparmi», tema che ha affrontato anche Contrasto, soprattutto in relazione al sud: «Da Firenze in giù nel nostro paese non ci sono più centri direzionali». Però, dice Spanò, ci sono tanti modi di presidiare il territorio: «Dobbiamo avere un buon rapporto con i nostri clienti e i lavoratori, ma dobbiamo anche rilanciare i borghi, oltre che ottimizzare i bilanci. E quindi bene anche lo smart working».

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