Contrattazione

L’avvento della tecnologia richiede un aggiornamento delle regole a tutela dei lavoratori

Rivedere il sistema delle tutele, partendo dalla Costituzione e garantire nuove certezze agli attori del contratto di lavoro. Questi i motivi al centro del Convegno promosso il 16 aprile da Area democratica della giustizia, che ha riunito magistrati, politici, sindacalisti, docenti e avvocati.

di Marcello Basilico*

Ripensare al sistema delle tutele verso l’insicurezza e la precarietà, partendo dalla Costituzione. Garantire nuove certezze agli attori del contratto di lavoro, attraverso un dialogo più attento tra legislatore, giudici e studiosi del diritto.
Sono questi i due motivi centrali emersi dal convegno «Nuovi lavori o nuove servitù. Diritti e tutele nelle nuove frontiere del lavoro» (che si è svolto il 16 aprile), in cui Area democratica della giustizia ha riunito alcune delle massime figure della magistratura del lavoro insieme con politici, sindacalisti, docenti e avvocati.

L’impatto delle nuove tecnologie

La tecnologia ha stravolto le dinamiche lavorative: si smaterializza la figura datoriale – sostituita progressivamente da un sistema di calcolo aritmetico – e si afferma l’occupazione on demand. La rivoluzione imposta dalla modernità richiama problemi e rischi mai debellati: l’abuso dei contratti a termine e di somministrazione; la subordinazione contrabbandata per autonomia; l’effetto sui salari dell’appalto a basso costo; il caporalato attuato in forme diversificate. Ad oggi la legislazione non riesce a prevenire questi fenomeni. L’amministrazione è quasi disarmata nei servizi ispettivi depotenziati e nel fallimento delle soluzioni che, secondo i fautori della flexsecurity, avrebbero dovuto bilanciare la crescente instabilità occupazionale con rapide riconversioni professionali. La frammentazione della contrattazione collettiva (i Ccnl vigenti nell’archivio del Cnel sfiorano il migliaio) rende impossibile identificare la retribuzione proporzionata e sufficiente dovuta a ogni lavoratore subordinato per Costituzione (articolo 36).

L’esperienza dei rider

L’universo dei rider insegna: per un accordo aziendale di pochi giorni fa, con Just Eat, che porta Cgil, Cisl e Uil a esultare in nome della “giusta dignità” dei lavoratori, c’è un contratto collettivo nazionale stipulato pochi mesi prima da un’unica sigla sindacale e già censurato dal ministero del Lavoro per la previsione di un cottimo integrale. La dignità del lavoro diventa così una chimera non solo per il disoccupato o il precario, ma persino per troppi stabili dipendenti.

Secondo la Confederazione dei sindacati europei, dal 2010 al 2019 nella Ue gli working poor (lavoratori con reddito del 60% inferiore a quello medio dei concittadini) sono aumentati del 12%; in Italia l’incremento è stato del 28%: al 31 dicembre 2019, il 12,2% dei lavoratori – quasi uno su otto – era considerato povero. Possiamo immaginare quali saranno gli effetti della pandemia su questa realtà.

I possibili interventi

Servono dunque scelte politiche rapide e incisive: misure che valorizzino le potenzialità della legge sul lavoro nero (199/2016) anche fuori dall’intervento repressivo; la costituzione d’una Procura del lavoro dotata di capacità di analisi economica, forza investigativa nonché, soprattutto a protezione delle vittime dello sfruttamento, di strumenti processuali ad hoc; l’aggiornamento della disciplina sulla sicurezza nel lavoro, compreso quello agile; una perimetrazione netta di categorie giuridiche esistenti (subordinazione, parasubordinazione, eteroorganizzazione) in un reticolo di tutele effettive per i lavori flessibili.

Un sistema integrato di tutele nel perimetro costituzionale

La “manutenzione del diritto positivo”, per dirla con Marco Marazza, muove però dalla Costituzione, così come ha ammonito il primo presidente della Cassazione, Pietro Curzio, ricordando che ogni norma va calata in un sistema integrato di tutele. Passando in rassegna i recentissimi interventi della Consulta, il giudice costituzionale Giovanni Amoroso ha evidenziato come le innovazioni della legge Fornero nel 2012 e del Jobs Act nel 2015 non abbiano retto alle censure sui loro vizi più evidenti, in materia di licenziamento, una volta che si è resa residuale la reintegra senza dare il necessario equilibrio al complesso attuale delle misure.

Rimesso così al centro della scena dalla Corte costituzionale, il giudice del lavoro vive l’ennesima, obbligata stagione di supplenza di un Parlamento assente o confuso. Per quanto gli sia forse connaturato più che in altri settori, questo ruolo non può fargli dimenticare le giuste esigenze di uniformità del diritto reclamate dai protagonisti del mondo del lavoro. Il giudice dovrà dunque guardare al legislatore e alle organizzazioni sindacali, perché tornino a rivestire il ruolo di mediazione dei fenomeni sociali, loro assegnato nei rispettivi settori d’intervento. Nell’attesa può rinnovare subito un dialogo fecondo con studiosi e, nel processo, avvocati, affinché la magistratura resti meno isolata nella risoluzione di conflitti complessi, evitando di cadere nell’insidia d’un soggettivismo decisionale incontrollato.

* Presidente della sezione lavoro del Tribunale di Genova

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