Contrattazione

Verso il blocco in tutti gli impianti per le aziende multilocalizzate

di Enzo De Fusco

La mediazione sulla norma che disciplina i licenziamenti, confermando il blocco per il settore industriale fino al 30 giugno prossimo, fa fare un passo in avanti verso il ritorno alla normalità delle aziende.

Dal 1° luglio, quindi, la legge non impone più un automatico blocco ai licenziamenti ma esso è condizionato ad alcune scelte dell’impresa. Qualora il datore di lavoro del settore industriale valuti che la dimensione dell’organico è strutturalmente in eccedenza, può legittimamente decidere di avviare la procedura di consultazione sindacale finalizzata alla riduzione dell’organico o concordare con il sindacato durante la procedura soluzioni alternative. Il datore di lavoro che intende sospendere o ridurre l’orario di lavoro può presentare domanda di cassa integrazione prevista dal DLgs. 148/2015 senza il pagamento del contributo addizionale almeno fino a fine anno. Solo per queste aziende la nuova norma estende il blocco dei licenziamenti per la durata del trattamento di integrazione salariale utilizzata entro dicembre 2021. In attesa del testo definitivo questa disciplina pone almeno tre questioni.

La prima riguarda la sostenibilità giuridica di questo nuovo blocco dei licenziamenti imposto dalla legge a fronte del riconoscimento di una cassa integrazione finanziata completamente dai datori di lavoro per contrastare fenomeni temporanei di mercato, o crisi e riorganizzazioni più conclamate. Infatti, il bilanciamento che fino ad ora ha retto al rilievo costituzionale vede da un lato il blocco dei licenziamenti e dall’altro una Cig emergenziale interamente a carico dello Stato e che non consuma il plafond o pone limiti normalmente previsti dal decreto 148/2015. Nella soluzione prospettata, a parte il contributo addizionale che non appare di particolare rilievo, l’utilizzo della cassa ordinaria o straordinaria è sottoposta a tutti i limiti tipici del citato decreto 148. L’attenzione su questo punto è importante poiché significherebbe che per il futuro, anche per eventi non necessariamente pandemici ma semplicemente di profonda crisi di mercato del lavoro, al legislatore sarebbe sufficiente sospendere il contributo addizionale per legittimare un nuovo blocco dei licenziamenti.

La seconda questione riguarda l’ambito di applicazione del blocco soprattutto per le aziende multilocalizzate. Infatti, come spesso accade le esigenze di alcune unità produttive sono diverse da territorio a territorio. La norma, se confermata, nel disporre il blocco fa riferimento al “datore di lavoro” e quindi all’azienda. Questo vorrebbe dire che si applica il blocco del licenziamento per tutte le unità produttive anche qualora l’azienda richieda una cassa integrazione in una sola unità produttiva. La norma sembra andare verso questa direzione se si considera che la cassa integrazione in genere si richiede proprio per evitare il licenziamento dei lavoratori interessati. Quindi il Giudice potrebbe ritenere particolarmente restrittivo ricondurre il blocco alla sola unità produttiva in cui il datore di lavoro ha già scelto di non licenziare a fronte della richiesta di un ammortizzatore sociale.

La terza questione riguarda la durata del blocco. Su questo punto la norma sembra andare verso un indirizzo di effettivo utilizzo («per la durata del trattamento di integrazione salariale fruita entro il dicembre 2021»). La disciplina però sembra costruita pensando alle aziende in cassa integrazione con una ragionevole continuità fino a fine anno, o comunque per periodi significativi. Spesso però, soprattutto la cassa integrazione ordinaria è richiesta per periodi brevi finalizzata a compensare momenti temporanei di difficoltà del mercato. In questi casi, stando alla norma, il blocco dei licenziamenti si attiverebbe ad intermittenza ossia solo nei periodi di utilizzo della cassa integrazione. Bisogna capire se il Giudice applicherà questa ipotesi molto letterale o una forma di tutela più estesa fino a fine anno.

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