Contrattazione

La crisi cancella a Nord Ovest 60.500 posti nell’anno del Covid

di Raoul de Forcade e Filomena Greco

Piemonte e Liguria pagano un prezzo alto alla crisi indotta dalla pandemia, a cominciare dal mondo del lavoro. Diversi gli indicatori che vanno in questa direzione: in Piemonte ad esempio il numero di inattivi ha raggiunto quota 41mila, con punte di 56mila a metà 2020 e una perdita di posti di lavoro pari a 50mila unità, la Liguria ha visto calare gli occupati di 10.509.

In Piemonte, come rivela un report della Regione sul mercato del lavoro, l’anno nero della pandemia ha fatto calare di due punti il tasso di occupazione, peggiorando in generale anche il tasso di attività. In valore assoluto il Piemonte ha perso l’anno scorso almeno 50mila occupati. I mesi difficili del lockdown e delle limitazioni hanno spinto verso un aumento dello stock di inattivi, invertendo un trend di diminuzione intrapreso nei cinque anni precedenti. Se si considera la componente femminile, «nel periodo 2015-2019, la permanenza nello stato occupazionale – descrive il report della Regione – ha subito una lenta crescita (da 94,4% a 94,8%) mentre è nel periodo 2019-2020 che diminuisce a seguito della transizione verso lo stato di disoccupazione e ancor più verso quello dell’inattività», mentre il tasso di disoccupazione resta di due punti più alto rispetto a quello degli uomini (8,9 contro 6,7%).

L’urgenza dunque è duplice: ridare fiducia e aumentare l’occupazione. «La crescita economica deve superare quota 2% per potersi tradurre in creazione di nuovi posti di lavoro – ha ricordato il presidente degli industriali di Torino, Giorgio Marsiaj, alla presentazione dei dati sulla congiunturale per il terzo trimestre – la nostra priorità deve essere quella di migliorare l’occupazione tra i giovani».

Il tema dell’industria è al centro della “Vertenza Torino” di Cgil, Cisl e Uil. I sindacati confederali nei mesi scorsi hanno lanciato l’allarme, insieme ai metalmeccanici, sui rischi derivanti dal ridimensionamento del tessuto manifatturiero, a cominciare dall’automotive. In questa cornice rientrano crisi aziendali pesanti come quella della ex Embraco. Una preoccupazione confermata da un dato su tutti: mentre in Italia in media il numero di occupati nell’industria nel periodo 2010-2019 è rimasto stabile, in Piemonte è calato del 5,9%.

In Liguria, il mondo del lavoro, tra il 2020 e il 2021, è stato fortemente segnato, come nel resto d’Italia, dagli effetti della pandemia. Se l’industria fondamentalmente ha tenuto, a essere fortemente colpito è stato il terziario e segnatamente il comparto turistico. Anche il settore portuale ha risentito della situazione. Nell’intero 2020, si legge nel report L’economia della Liguria, da poco pubblicato da Bankitalia, «la produzione delle imprese industriali liguri è diminuita del 3% circa, mentre le vendite in termini reali hanno registrato un calo più contenuto (-1,3%). L’attività del settore edile è rimasta stabile sui livelli del 2019»; grazie anche «al nuovo viadotto Genova-San Giorgio, inaugurato in agosto». Tra i comparti del terziario, prosegue lo studio, «i flussi turistici si sono contratti di oltre il 40%. I transiti crocieristici si sono pressoché azzerati; la movimentazione mercantile presso i porti liguri» si è ridotta «di quasi il 15%». Nel 2020, registra Marco De Silva, responsabile dell’ufficio economico della Cgil Liguria, elaborando dati Istat, la Liguria ha totalizzato 601.258 occupati: è andata peggio, partendo dal 1977, solo nel 2014 con 599.147 occupati e nel 1983, con 570.727. Il primo anno pandemico, inoltre, segna un calo di 10.509 occupati sul precedente, «il secondo per entità nel terzo millennio».

Anche nel 2021, dice Fulvia Veirana, segretaria generale della Cgil Liguria, «pur a fronte di dati parziali, la tendenza vede un deterioramento del lavoro nel terziario e nel turismo, anche a fronte della ripresa che si sta registrando. Gli imprenditori lamentano la mancanza di lavoratori stagionali, ma le proposte sono obiettivamente misere e spesso per lavori a chiamata. Nel 2020 non è stata avviata l’accensione di circa 60mila contratti a tempo determinato. La Liguria, poi, ha un problema in più: è la seconda regione italiana, dopo la Lombardia, per tavoli di crisi aperti al Mise: ce ne sono ben sette». I dati sul primo trimestre 2021 della Camera di commercio, testimoniano che il numero delle imprese attive in Liguria, a fine marzo 2021, è superiore di 769 unità a quello del 31 marzo 2020, con un tasso di crescita positivo pari allo 0,6%. Il saldo tra iscrizioni e cessazioni risulta ancora negativo ma in miglioramento rispetto a un anno fa (da -1.180 a -24 unità) grazie soprattutto alla diminuzione delle cessazioni (-30%). I settori economici che più risentono della crisi sono il commercio, con 300 imprese in meno, e il turismo, con -145 unità. «Ci sono state – spiega Maurizio Caviglia, segretario generale della Cciaa di Genova - meno cessazioni di quelle che ci saremmo aspettati. Ovviamente dal punto di vista delle nuove imprese c’è stato un crollo. Quindi abbiamo trovato molte meno imprese che hanno aperto e un po’ meno che hanno chiuso; il saldo dunque non è particolarmente negativo ma è comunque negativo e adesso ci troveremo di fronte a uno strabismo perché mi aspetto un’esplosione di nuove aperture: tutti quelli che avrebbero voluto aprire e sono rimasti fermi adesso iniziano a pensare che da settembre si ritorni alla normalità e alla possibilità di intraprendere. Mi aspetto invece che si arrendano tutti quelli che non sono più in grado di andare avanti. Ci sono settori falcidiati dall’emergenza Covid mentre altri comparti hanno la possibilità di ripartire. Il fattore da analizzare, comunque, non è il saldo ma i valori assoluti delle nuove aperture e delle cessazioni. Il confronto va fatto non sull’anno scorso ma sul 2019, pre-Covid: tra 2020 e 2021 non c’è grande differenza, che è grande, invece, rispetto al 2019».

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