Contrattazione

Lavoro a termine, le causali affidate ai contratti collettivi

di Claudio Tucci

Spazio ai contratti collettivi per disciplinare i contratti a tempo determinato. Sotto la spinta degli ultimi dati Istat sull’occupazione, che hanno indicato chiaramente come i contratti a termine siano oggi il motore della ripresa, il governo ha aperto alla prima, vera, modifica al decreto Dignità, che, come noto, da luglio 2018 ha irrigidito la disciplina del lavoro a tempo (somministrazione inclusa) assoggettandolo a rigide causali legali.

La novità è contenuta in un emendamento al decreto Sostegni-bis, condiviso dall’esecutivo, e approvato ieri dal Parlamento.

La disposizione cambia l’articolo 19 del Dlgs 81 del 2015, rivisto, come detto, dal Dl 87, aggiungendo la possibilità per i «contratti collettivi di cui all’articolo 51 del Dlgs 81» (quindi contratti nazionali, territoriali e aziendali) di poter disciplinare i contratti a termine.

Oggi il decreto dignità è stato appena scalfito dagli ultimi provvedimenti emergenziali, che consentono i rinnovi per una sola volta senza causali fino a dicembre. Con questo emendamento, il Dl 87 si modifica in modo strutturale. La novità cambia il quadro normativo in questo modo. I contratti a termine restano di durata di 24 mesi, ma dopo i primi 12 mesi “liberi”, se si vogliono prolungare, scattano le rigide causali legali:
a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.
Se non si rispettano tali condizioni, scatta la conversione del rapporto a termine in contratto a tempo indeterminato (dalla data di superamento del termine di dodici mesi).

Ebbene, con la modifica approvata dal Parlamento, con una larghissima maggioranza, si introduce un nuovo comma all’articolo 19, che prevede che si possano attivare contratti a tempo anche per le «specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di cui all’articolo 51». D’ora in avanti, quindi, si consente alle parti sociali, che meglio conoscono le singole realtà produttive, di individuare le ipotesi in cui è possibile apporre un termine al contratto.

Il passo avanti è significativo, come spiegano gli esperti. Con l’emendamento messo a punto dalla maggioranza e condiviso dal governo «si restituisce alla contrattazione collettiva (anche aziendale) la regolazione dei rinnovi e delle proroghe dei contratti a termine - ha detto Arturo Maresca, ordinario di diritto del lavoro all’università la «Sapienza» di Roma -. Finalmente il legislatore ha dovuto prendere atto che la norma legale sulle causali del decreto dignità creava problemi alla corretta occupazione a tempo determinato che, peraltro, oggi con le incertezze dovute alle conseguenze della pandemia è l’unica che è in grado di promuove occupazione di qualità».

I numeri dell’Istat, del resto, parlano chiaro. Da gennaio a maggio l’occupazione è cresciuta di 180mila unità, tutti contratti a termine. I contratti a tempo indeterminato a maggio sono pressoché stabili, +6mila unità su aprile, complice anche una ripresa economica che sta partendo (ma i cui contorni non sono ancora chiarissimi).

«Per questo imprese e lavoratori hanno bisogno di flessibilità buona e tutelata - sottolinea la sottosegretaria al Lavoro, Tiziana Nisini (Lega) -. Con l’ok del Parlamento di oggi (ieri, ndr) viene, di fatto, smontato il decreto dignità, che ha presentato da subito molte criticità, acuite dalla crisi, per via di norme assurde. Viene inoltre conferma la linea che ha sempre portato avanti la Lega, cioè dare un’opportunità alle persone di uscire dalla disoccupazione seppur con un contratto a termine. Anche in questo frangente il governo Draghi si è dimostrato di assoluto buon senso».

Soddisfazione è stata espressa anche dal Pd. «Si tratta di un lavoro che viene da lontano e che è il frutto della presa d’atto della situazione nella quale a causa della pandemia viviamo - evidenzia la capogruppo Dem alla Camera, Debora Serracchiani, che assieme al professor Antonio Viscomi della commissione Lavoro della Camera hanno fortemente spinto per la norma -. Giusto poi, come abbiamo sempre sostenuto, affidare il tema delle causali alla sede naturale, e cioè alla contrattazione collettiva».

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