Contrattazione

Lo stop allo staff leasing nella logistica penalizza i lavoratori

di Aldo Bottini

La somministrazione di lavoro non ha mai, in via generale, incontrato il favore delle organizzazioni sindacali dei lavoratori. Una contrarietà preconcetta e difficilmente comprensibile, posto che il lavoro somministrato, fornito solo da soggetti autorizzati perché in possesso degli stringenti requisiti di solidità e affidabilità richiesti dalla legge, è sempre controllato, regolare, vincolato alla parità di trattamento con i lavoratori “diretti” e applica i contratti collettivi di settore.

Questa ostilità ha portato talvolta a inserire nei contratti collettivi nazionali disposizioni fortemente limitative della facoltà di ricorrere a questo strumento che la legge mette a disposizione delle imprese. Prendiamo ad esempio il contratto della logistica, recentemente rinnovato nel bel mezzo di vicende incresciose che hanno portato il settore all’attenzione della cronaca. Il testo contrattuale, che si trascina nella sua formulazione dal 2013, non solo introduce per la somministrazione a temine limiti molto più stringenti di quelli di legge, ma si spinge addirittura a vietare nel settore l’applicazione della somministrazione a tempo indeterminato (staff leasing), originariamente insieme al lavoro intermittente. Si tratta di una disposizione anzitutto di assai dubbia legittimità. Con riferimento al contratto di lavoro intermittente, la Cassazione, con la sentenza 29423 del 13 novembre 2019, ha negato alla contrattazione collettiva un potere di interdizione sulla possibilità di utilizzo di una tipologia contrattuale, rispetto alla quale le parti collettive hanno solo la possibilità, demandata loro dalla legge, di determinare le esigenze per le quali è consentita la stipula di un contratto intermittente. In sostanza - ha affermato la Cassazione - la contrattazione collettiva aveva esorbitato dalle facoltà riconosciutele dalla legge, vietando ciò che invece la legge consente. Lo stesso Ispettorato nazionale del lavoro ne ha preso atto, invitando gli ispettori a non tenere conto, nell’ambito dell’attività di vigilanza, di eventuali clausole contrattual-collettive che vietino il lavoro intermittente (circolare 1/2021).

Il principio enunciato dalla Cassazione (e accolto dall’Inl) è facilmente estendibile anche alla somministrazione a tempo indeterminato. Anche in questo caso, infatti, la legge si limita a demandare alle parti collettive l’eventuale determinazione di un limite quantitativo al numero di lavoratori a tempo indeterminato utilizzabili, diverso da quello di legge (20% dell’organico). La disposizione contrattuale va invece ben oltre, arrogandosi, anche con riferimento a questa fattispecie contrattuale, un potere interdittivo che non ha. Ma anche di là di ogni questione circa la legittimità della clausola, viene da chiedersi, proprio alla luce dei fatti di cronaca di questi giorni, quale sia il senso di mantenere questo anacronistico divieto di ricorso alla somministrazione a tempo indeterminato. In un settore in cui viene spesso denunciata la presenza di forme di lavoro irregolari (appalti di dubbia liceità, cooperative spurie che applicano condizioni di lavoro deteriori), la somministrazione (tanto più a tempo indeterminato) può costituire uno strumento, perfettamente legale e regolare, che coniuga flessibilità e condizioni di lavoro per legge non inferiori a quelle dei dipendenti diretti. Non resta che auspicare un ripensamento da parte dei contraenti collettivi che porti alla rimozione del divieto, come accaduto nel 2017 per il lavoro intermittente.

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