Contrattazione

«Ora sosteniamo gli accordi collettivi»

di Claudio Tucci

«Il Pil cresce, adesso dobbiamo accompagnare la ripresa occupazionale. E per farlo abbiamo bisogno più che di nuove normative di un solido ed ambizioso patto sociale, come richiesto ormai da più parti, dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi al segretario della Cisl Gigi Sbarra - sottolinea Antonio Viscomi, ordinario di diritto del Lavoro all’università di Catanzaro, e capogruppo Dem in commissione Lavoro della Camera -. Serve un patto per sostenere la transizione ecologica, digitale e circolare dei sistemi produttivi in coerenza con le linee del Pnrr. Questo orizzonte chiede a ciascuno di noi di mettere a fuoco strategie nuove, anche sul piano di regole e assetti giuridico-istituzionali. Io credo che intese tra imprese e sindacati siano molte volte preferibili alla legge nella definizione delle regole di governo delle relazioni di lavoro, e questo per la maggiore flessibilità e capacità di adattamento alle situazioni concrete».

Professore, un esempio?

La nuova disciplina del lavoro a tempo. È da tre anni che chiediamo di attribuire alla contrattazione collettiva il potere di individuare le causali che consentono l’apposizione del termine ad un contratto. Nel decreto Sostegni bis abbiamo inserito questa possibilità, che ora le parti sociali possono utilizzare, come mi sembra stiano iniziando già a fare.

Ma non tutti sono d’accordo sull’interpretazione…

Qui è necessario fare chiarezza. La prima norma, senza modificare la restante disciplina legislativa, consegna alla contrattazione collettiva la facoltà di individuare le specifiche esigenze che legittimano l’apposizione di un termine. Essa è stata introdotta con un emendamento a mia prima firma, affiancato da altri emendamenti simili di altri gruppi. Successivamente, però, il giorno dopo, i relatori hanno presentato un altro emendamento il cui obiettivo era forse quello di togliere alle parti sociali il potere di negoziare le causali, ma che alla fine, per come è stato scritto, sembra suggerire una diversa interpretazione, come già è emerso nei primi commenti.

Cioè?

In breve, per cercare di dare un senso alla autonoma previsione confluita nel Sostegni bis, si è detto che questa introduce e legittima una figura autonoma e temporanea (fino a settembre del prossimo anno) di causale per contratti a termine stipulati ab origine con un termine superiore a 12 mesi; conseguentemente, la causale negoziata dovrebbe trovare applicazione in via generale e permanente (cioè senza limiti temporali) per le proroghe e i rinnovi dei contratti con durata originaria non superiore a dodici mesi (fermo restando il limite massimo biennale di durata del rapporto). In ogni caso, già oggi le parti sociali possono individuare specifiche causali e così adeguare il contesto regolativo alle esigenze della ripartenza post-covid. D’altronde questo è proprio il loro mestiere da sostenere, non inibire.

Quindi, il suo messaggio è di non penalizzare l’autonomia collettiva?

Certamente. La flessibilità, interna o esterna, è un elemento connaturato all’organizzazione di impresa e al suo rapporto con il mercato. Il problema reale è stabilire chi governa la flessibilità, se la legge o l’autorità amministrativa o il potere unilaterale del datore di lavoro o la contrattazione collettiva. Abbiamo una lunga storia alle spalle, basta studiarla un poco per rendersi conto che il punto di equilibrio tra le varie esigenze sta proprio nella contrattazione collettiva. Lo dimostra l’effettiva esperienza, spesso dimenticata, delle potenzialità derogatorie dei contratti di prossimità. Per questo è opportuno rafforzare e sostenere il ruolo negoziale delle parti sociali.

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