Contrattazione

Smart working via senza ritorno: la caccia ai talenti si fa globale

di Cristina Casadei

Per i lavoratori della conoscenza, i cosiddetti knowledge workers, e le loro aziende la pandemia ha portato cambiamenti nel modo di lavorare senza ritorno. Al punto che diverse indagini, non solo condotte internamente dai giganti del tech, evidenziano che in molti non sono disposti a massicci ritorni forzati in ufficio. Soprattutto se la proposta resta identica al periodo pre pandemia. Nel breve termine, comunque, le varianti del Covid stanno facendo slittare i piani di rientro all’inizio del nuovo anno. Ciò che si sta lentamente delineando è, invece, a livello globale, lo spostamento verso le professioni Stem e quelle legate alla salute (si veda infografica).

Remote first?
Il futuro non sarà forse remote first, ma i cambiamenti portati dal lavoro da remoto tenderanno a persistere nelle economie avanzate, con equilibri in corso di definizione. È la conclusione a cui arriva McKinsey sintetizzando i report, condotti a livello globale, di questa ultima fase. Per la società di consulenza strategica, le principali ragioni che rendono irreversibili i cambiamenti risiedono nel fatto che, in futuro, dal 20 al 25% della forza lavoro nelle economie avanzate potrebbe lavorare da remoto senza perdere produttività. A questo si aggiunga che molte società hanno iniziato a fare i conti sui risparmi sulle sedi e sul taglio dei costi, determinati dalla tecnologia e dal lavoro da remoto. Il futuro, dice McKinsey, diventerà un mix di spazi di proprietà, contratti di locazione standard, contratti di locazione flessibili, spazi flessibili, spazi di co-working e lavoro a distanza. L’ufficio fabbrica con la postazione fissa, l’orario verificato con le timbrature del cartellino, saranno un passato senza ritorno.

Produttività e motivazione
Il ceo di Porsche consulting, Josef Nierling, si aspetta che «molte aziende vorranno rivedere in maniera più strutturale i propri modelli organizzativi a seguito del lungo e forzato periodo di lavoro a distanza». La necessità di un nuovo approccio al lavoro ha le sue radici in un problema che «accomuna l’Italia con la Germania da tempo. Secondo un nostro studio svolto in Germania sulle 100 maggiori società per giro d’affari, l’85% delle aziende aveva, già prima della pandemia, avviato azioni per aumentare produttività ed engagement, con interventi che hanno riguardato digitalizzazione, riorganizzazione, nuovi processi, sostenibilità. Ma l’80% non ha portato i risultati attesi». Lo shock pandemico ci ha insegnato che «il valore vero del remote working è la flessibilità, in termini di luogo e di tempo, e che questa flessibilità può generare sia maggiore produttività sia maggiore soddisfazione delle persone - continua Nierling -. Adesso bisogna strutturalmente capire cosa è meglio per ciascun ruolo, in ciascuna azienda. Mi aspetto che ogni azienda troverà un proprio modello organizzativo, mentre prima della pandemia il modello verteva sul contratto standard di categoria».

Il recruiting diventa globale
Per portarsi in casa i migliori tech workers per sviluppare i progetti, alcune multinazionali non badano più nemmeno ai confini geografici. Tra le cose che ci lascerà la pandemia e la diffusione del lavoro da remoto c’è la globalizzazione delle ricerche che non saranno più solo nei paesi dove chi fa professioni in forte crescita, soprattutto in ambito hi tech, dovrà lavorare. Come conferma Simona Tansini, amministratore delegato di Randstad Italia «il lavoro da remoto da un paese diverso dal proprio é un trend che si sta sviluppando all’estero, ma sta crescendo anche in Italia per alcune realtá e crediamo possa espandersi ulteriormente nei prossimi anni, come effetto della diffusione dello smart working e della scarsità di talenti». In Italia si sta affermando «per società del settore IT, soprattutto di sviluppo app, con professionisti dislocati in tutto il mondo che collaborano da remoto - dice Tansini -. Sempre più spesso questo approccio può rappresentare una strategia per attrarre talenti dall’estero, senza portarli fisicamente nel luogo di lavoro effettivo. Ci aspettiamo che altre aziende, native digitali, possano adottare processi simili di reclutamento in futuro».

La geografia dei talenti
Nel report di Boston Consulting Group, intitolato Decoding the global talent, svolto in 190 paesi, la tendenza generale che è emersa è quella dei talenti a spostarsi meno. Lo smart working ha portato i knowledge workers a dire che sarebbero disposti a lavorare da remoto per aziende straniere senza una presenza fisica nel Paese. Per l’Italia si tratta del 71% degli intervistati, 14 punti in più rispetto alla media globale del 57%. Matteo Radice, managing director e partner di BCG spiega che «il Covid ha accentuato un fenomeno già avviato e ha favorito la transizione verso una nuova forma di mobilità, fondata su una modulazione del telelavoro, che rappresenta una nuova opportunità anche per le società, da impiegare, però, con attenzione». Non mancano infatti le criticità, dovute alle leggi di ogni Paese, al fatto di garantire una formula uniforme ai dipendenti, alla questione salariale, così come l’impatto dei fusi orari sull’equilibrio organizzativo.

Le mete preferite
Se guardiamo alle scelte degli italiani, per il lavoro da remoto in cima alla classifica c’è sempre la Svizzera, seguita da Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Francia. L’Italia risulta invece la meta preferita da albanesi, spagnoli, rumeni e turchi. Nella media globale, invece, il paese preferito per un incarico di lavoro da remoto sono gli Stati Uniti, seguiti da Australia e Canada e, al quarto posto, la Germania. La città più attrattiva a livello globale resta Londra, seguita da Amsterdam, Dubai e Abu Dhabi che simboleggiano il grande cambiamento in atto nella geografia del lavoro.

Le sedi e la città in 15 minuti
Ciò che non sarà mai cambiato, nemmeno dalla pandemia, è però il fatto che il lavoro è un’attività sociale, e resta dunque rilevante l’importanza dell’incontro. Però, «la sfida dei prossimi mesi sarà ricreare l’attrattività dell’ufficio - afferma Nierling -. Le persone devono aver la voglia di lavorare con i colleghi, di rivederli, di sentire il gruppo di lavoro come una delle cose belle della loro vita». I grandi uffici si spacchetteranno in tante zone. «Per l’innovazione, per la collaborazione, per il lavoro individuale che richiede concentrazione e per le relazioni personali e la convivialità - elenca il manager -. Gli spazi così concepiti potranno poi essere moltiplicati in uno stesso o in più building, consentendo di avvicinare i luoghi di lavoro al lavoratore come alternativa al remote working, cambiando le città che andranno ripensate in termini di hub, con una rete che unisce i diversi punti. La vita sociale, idealmente, dovrà svolgersi in prossimità della propria abitazione: è la cosiddetta città in 15 minuti, costituita da microcittà nella città, dove poter raggiungere i servizi sanitari e scolastici, il ristorante, e naturalmente, il posto di lavoro in un quarto d’ora».

Sotto la lente

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