Contrattazione

Contratti a termine: spazio alle intese collettive su causali, durata massima e limiti d’uso

L’Ispettorato ha confermato che la facoltà di intervento delle parti sociali è strutturale. Ora è più appetibile anche la possibilità di ampliare il tetto di utilizzo di 24 mesi.

di Aldo Bottini

La normativa sui contratti a termine e la somministrazione apre alla contrattazione collettiva significativi spazi di deroga e di adattamento alle specifiche realtà, che neppure il cosiddetto decreto Dignità ha potuto chiudere del tutto.

Da ultimo, la modifica, introdotta dall’articolo 41-bis del Dl 73/2021 (Sostegni-bis), così come convertito dalla legge 106/2021, ha ulteriormente rilanciato il ruolo dei contratti collettivi nel disegnare le regole per i contratti (e la somministrazione) a termine, soprattutto dopo l’autorevole avallo interpretativo offerto dall’Ispettorato nazionale del lavoro con la nota 1363 del 14 settembre 2021.

Il sistema delle causali

Quest’ultima modifica è particolarmente significativa perchè interviene proprio sul “cuore” del decreto Dignità, il sistema delle causali, in presenza delle quali è possibile stipulare un contratto a termine di durata superiore ai 12 mesi, prorogarlo oltre tale termine o rinnovarlo. Alle causali previste dalla legge (talmente restrittive da risultare praticamente inapplicabili) possono ora affiancarsene altre “confezionate” dalla contrattazione collettiva a tutti i livelli, nazionale, territoriale e aziendale.

Per quanto riguarda proroghe e rinnovi, si tratta di una facoltà strutturale e definitiva, che non ha una scadenza temporale e non è quindi legata (al contrario di altri interventi precedenti di allargamento delle maglie del decreto Dignità) all’emergenza pandemica. Una limitazione temporale (30 settembre 2022) è invece prevista (solo) per l’apposizione di un termine superiore ai 12 mesi all’iniziale contratto di lavoro a termine.

L’aumento della durata

Si tratta di un’apertura alla contrattazione collettiva di non poco conto, frutto della acquisita consapevolezza che le rigidità sui rapporti a termine, lungi dall’incrementare i rapporti a tempo indeterminato, nuocciono all’occupazione nel suo complesso. Un’apertura che va ad aggiungersi al già nutrito “catalogo” di rinvii all’autonomia collettiva contenuti nella disciplina del contratto a termine e della somministrazione. A cominciare dalla durata complessiva dei rapporti a termine tra lo stesso datore e lo stesso lavoratore, che per legge non possono superare i 24 mesi.

La contrattazione collettiva (sempre a ogni livello) può stabilire un limite diverso, anche superiore, di durata massima. Una facoltà poco utilizzata dopo il decreto Dignità, posto che comunque dopo i 12 mesi occorreva una delle causali di legge, ma che oggi, alla luce della recente valorizzazione delle causali contrattuali, può rivelarsi molto interessante per introdurre regolamenti complessivi di flessibilità contrattata.

Le altre ipotesi di intervento

Sempre con riferimento ai contratti a termine, i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali possono:

prevedere ipotesi di esonero dall’obbligo di rispettare gli intervalli temporali di 10 o 20 giorni tra un contratto e l’altro (stop & go);

incrementare la percentuale massima delle assunzioni a tempo determinato oltre il 20%;

aumentare la durata della prestazione lavorativa (oltre i sei mesi) necessaria a maturare il diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato.

Con riferimento alla somministrazione, i contratti collettivi (sempre a ogni livello) applicati dall’utilizzatore possono incrementare la percentuale massima legale (20% dell’organico a tempo indeterminato) dei lavoratori somministrati a tempo indeterminato. Hanno altresì la facoltà di incrementare la percentuale complessiva di contratti a termine e somministrazioni a tempo determinato, che per legge è fissata nel 30% dei dipendenti a tempo indeterminato dell’utilizzatore.

Ancora, la contrattazione collettiva ha facoltà di individuare attività stagionali, aggiuntive a quelle previste da un decreto ministeriale, per le quali è possibile stipulare contratti a termine svincolati dall’obbligo di causale (anche in caso di rinnovo o proroga), dallo stop & go e dai limiti complessivi di durata. Si tratta di una facoltà di cui la contrattazione collettiva, soprattutto territoriale, ha fatto largo uso, in particolare nelle aree turistiche del Paese con riferimento a determinati periodi dell’anno.

I contratti di prossimità

Da ultimo, non va dimenticato che l’autonomia collettiva dispone pur sempre di uno strumento particolarmente incisivo, il contratto di prossimità previsto dall’articolo 8 del Dl 138/2011, che attribuisce ai contratti collettivi aziendali e territoriali la facoltà di derogare alla legge (e alla contrattazione collettiva nazionale) nelle materie tassativamente indicate, purché siano soddisfatte alcune condizioni (finalità e soggetti legittimati). Tra le materie “derogabili” ex articolo 8 Dl 138/2011 rientrano i contratti a termine e i casi di ricorso alla somministrazione.

Quindi, gli accordi di prossimità stipulati in ottemperanza ai requisiti richiesti dalla norma, potrebbero introdurre deroghe alla disciplina di legge ulteriori e più ampie rispetto a quelle consentite alla contrattazione collettiva “ordinaria”, che comunque oggi dispone di nuovi e non marginali spazi di intervento, anche a livello aziendale, dove è certamente più semplice (e proficuo) modellare le regole sulle concrete esigenze organizzative e produttive.

Alcuni ambiti d’azione

24 mesi

La durata massima

Con il vincolo delle causali di legge dopo il primo contratto a termine di 12 mesi, non era particolarmente appetibile per la contrattazione l’ipotesi di ampliare la durata massima dei rapporti a termine fra lo stesso datore e lo stesso lavoratore, fissato a 24 mesi. Con la possibilità di siglare delle causali specifiche, anche a livello aziendale, anche l’ipotesi di intervenire sulla durata massima dei rapporti a termine diventa più interessante

20%

Il contingentamento

I contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali possono stabilire limiti di contingentamento dei contratti a termine diversi da quello previsto per legge, per il quale i contratti a tempo determinmato non possono superare il 20% degli assunti a tempo indeterminato

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