Contrattazione

Meno chance per il salario minimo nell’agenda di Governo

di Giorgio Pogliotti

Perde quota l’ipotesi di introdurre il salario minimo legale in Italia. Dalle elezioni è uscita assai indebolita la principale forza politica, il M5S, che ne ha fatto un vero e proprio cavallo di battaglia. Ma anche a livello europeo la proposta di direttiva Ue di gennaio 2020 non ha alcun impatto sul nostro Paese, visto che fa riferimento a nazioni con livello di copertura contrattuale inferiore al 70%, escludendo dunque Italia e i paesi scandinavi dove la percentuale oscilla tra l’80% e il 90%; l’unica disposizione comune, che dunque riguarda anche il nostro Paese, fa riferimento alla «promozione della contrattazione collettiva».

A questo proposito va ricordato che nell’Unione europea, i salari minimi legali stabiliti per legge sono presenti in 21 Stati membri, mentre in sei Stati membri (tra cui l’Italia) la determinazione dei salari è affidata alla contrattazione collettiva. Il tema, prima inserito e poi scomparso dal Pnrr, in questo clima sembra avere poche chances di restare nell’agenda del governo Draghi, stando anche alle recenti dichiarazioni del ministro del Lavoro, Andrea Orlando, secondo cui «l’introduzione del salario minimo indebolisce i lavoratori, non li rafforza, credo che vada legata ad una legge sulla rappresentanza, inquadrandola nel perimetro della direttiva europea, perché non indebolisca la forza di contrattazione del sindacato».

A livello europeo ci sono molte resistenze, come sottolinea l’economista Ocse, Andrea Garnero: «La direttiva Ue passerà escludendo l’Italia e i paesi Nord europei che continuano ad opporsi all’introduzione del salario minimo legale, avendo una forte presenza dei sindacati e della contrattazione. Si discute anche se limitarsi ad una raccomandazione. La proposta europea, comunque, non ha come riferimento l’Italia, dove almeno in teoria tutti i lavoratori dipendenti sono coperti da un contratto collettivo».

Il quadro, insomma, è molto cambiato rispetto allo scorso anno quando al Senato si esaminava la proposta dell’ex ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo (M5S) per l’introduzione di un salario minimo legale di 9 euro l’ora che avrebbe comportato un maggiore costo del lavoro compreso tra 4,3 miliardi (stime Istat) e 6,7 miliardi (stime Inapp), con un impatto non solo sui livelli contrattuali al di sotto della soglia, ma anche sulle retribuzioni dei livelli più alti che avrebbero dovuto essere adeguate per mantenere la proporzione tra i salari dei diversi livelli, secondo le scale parametrali presenti nei contratti collettivi, causando un effetto a catena. La proposta è rimasta nei cassetti del Senato, come è noto, per la forte opposizione di sindacati e imprese.

Un’altra proposta è stata presentata da Tommaso Nannicini (Pd): «Prevede - spiega l’economista Pd - la creazione al Cnel di una commissione paritetica composta da sindacati e associazioni datoriali, incaricata di riscrivere in 18 mesi le regole per misurare la rappresentatività delle parti sociali, proposta da recepire poi in un decreto ministeriale che preveda l’estensione erga omnes dei minimi retributivi dei contratti rappresentativi. Sono previsti anche meccanismi partecipativi nelle relazioni industriali». Anche questa proposta resta nei cassetti del Senato.

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