Contrattazione

Lo shopping dei fondi aumenta le ricerche di manager del 50%

di Cristina Casadei

Nei giorni in cui il consiglio di amministrazione di Tim è alle prese con l’offerta del fondo americano Kkr, non sono mancati i primi strascichi nella C suite della società, con il passo indietro del ceo Luigi Gubitosi - rimasto nel Cda - e il salto in avanti del ceo della società in Brasile, Pietro Labriola, che aggiunge la carica di direttore generale globale. E poi l’uscita in via consensuale di Luciano Sale, direttore hr, organization & real estate e l’interim della direzione, affidato a Giovanna Bellezza, attuale responsabile human resources, business partner & labour cost planning. È, questa, solo una delle ultime storie che raccontano dell’interesse della finanza internazionale nelle società italiane (si veda il Sole 24 Ore del 24 ottobre) e di quello che questo può comportare al vertice. All’interesse dei fondi si accompagna un forte dinamismo nell’executive search che riguarda non solo la C suite, ma anche più in generale i consigli di amministrazione.

«L’aumento delle ricerche che stiamo riscontrando è superiore al 50% rispetto agli anni passati», ci spiega Niccolò Calabresi, managing director di Heidrick & Struggles Italia, Spagna e Portogallo. Sempre più spesso la leadership attuale «è un asset che costituisce parte integrante del valore riconosciuto alla portfolio company – continua Calabresi -. È altrettanto singolare che grandi disegni di aggregazione vedono i fondi completare prima il deal sulla base di una loro intuizione di creazione del valore e solo dopo scandagliare il mercato alla ricerca delle figure chiave. Non marginale però è anche il caso in cui il fondo decida una transizione graduale e proceda a “incubare” il leader del futuro lasciando che familiarizzi con il business in un ruolo di membro indipendente del board».

Giovanna Gallì, partner e director di Spencer Stuart, conferma che «si osserva un maggiore dinamismo, anche se le logiche di fondo non sono cambiate». Intanto bisogna distinguere «i casi di investimenti dei fondi su aziende che vanno bene, dai casi di investimenti in aziende da ristrutturare. Nel primo l’intervento parte dalla governance e l’ingresso del fondo nella gestione avviene attraverso una ridefinizione dei meccanismi che permettono l’allineamento dei vari stakeholders: azionisti, famiglia dove presente e management. Il nostro intervento parte dal supporto ai fondi sugli aspetti legati alla ridefinizione dei principi di una buona governance e alla definizione dei criteri che guidano la composizione dei cda e la successiva identificazione dei consiglieri. Nelle aziende che vanno bene, il fondo entra con meno invasività. In genere lascia parte della prima linea manageriale, trattenendo le figure chiave per periodi determinati con meccanismi incentivanti e strutture di lock up». Ultimamente si osserva un maggiore dinamismo rispetto al passato relativamente «all’entrata dei fondi in aziende che necessitano interventi di ristrutturazione: in questi casi è più facile osservare i fondi intervenire non solo sui cda, ma in maniera più strutturata e invasiva sulla linea manageriale. Con gli advisor come noi è imprescindibile un rapporto fiduciario preesistente all’operazione: questo ci permette di ragionare sulle figure manageriali di cui l’azienda oggetto dell’investimento ha bisogno ben prima della chiusura del deal».

Va detto che un’operazione di Private Equity mobilita risorse manageriali e di advisory sin da prima della sua finalizzazione. «A definire le prime mosse sono la natura del deal e gli accordi di governance presi con la società – dice Calabresi -. Solitamente, nel processo di due diligence i fondi sono assistiti, in forma pienamente dedicata o part-time, da esperti della materia, che apportano prospettive di mercato, supportandoli, per esempio, nella definizione del prezzo e del piano strategico. Spesso una di queste figure, in caso di acquisizione della maggioranza, è poi preselezionata come futuro ceo o come board member per garantire continuità di supporto nell’indirizzo e nel controllo dell’investimento. Va precisato, tuttavia, che il cambio di ceo avviene appunto in caso di acquisizione della maggioranza e che comunque non sempre rappresenta un’azione immediata. Più immediato è invece l’inserimento di un Cfo o di un responsabile di rischio, anche in caso di acquisizione di quote di minoranza, specie quando il deal riguarda business regolamentati o esposti a settori con forti rischi operativi».

L’impatto del grande dinamismo degli investitori sull’executive search è «sicuramente espansivo – prosegue Calabresi -. A deal chiuso, il private equity che ha investito è un cliente molto esigente, ancor più che in un progetto ordinario di ricerca, e le dimensioni di leadership sono al centro dell’analisi. Siamo abituati a pensare al private equity come un investitore focalizzato sui 3-5 anni prima dell’exit, ma la qualità del management e la sua trasferibilità al nuovo investitore sono un asset che impatta significativamente sul valore della società all’uscita. Per questo motivo in Heidrick & Struggles ci serviamo di una piattaforma di valutazione proprietaria che permette di valutare olisticamente le dimensioni della leadership».

Gallì che opera in una società che da sempre lavora con fondi di private equity di dimensioni rilevanti o di rilevanza internazionale, dal suo osservatorio dice che «se il fondo entra e investe pesantemente, di solito c’è il rifacimento di tutta la prima linea e del consiglio di amministrazione. I pacchetti di compensation sono importanti, con una componente commisurata al valore che si crea e ci sono professionisti che manifestano grande interesse nel voler lavorare con i fondi di private equity, mostrando una buona propensione al rischio di execution. Se è vero che c’è un rischio implicito più alto, per il manager c’è anche un upside sulla componente di long term incentives. La differenza non è solo o necessariamente sul variabile annuale, ma sulla possibilità di avere un riconoscimento economico sulla creazione di valore nel lungo termine». I fondi di private equity sono più appealing e fanno offerte più interessanti a chi vuole mettersi in discussione. «Sono sicuramente più sfidanti e attirano persone che si mettono maggiormente in discussione e contano sulla possibilità di creare valore – dice Gallì - E beneficiarne».

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