Contrattazione

Politiche attive ad ampio raggio per gestire le transizioni

di Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci

Superare la logica “riparatoria” delle politiche attive del lavoro per trasformarle in strumento di supporto alle transizioni occupazionali e non solo come misura “di ultima istanza” rivolta ai disoccupati per il reinserimento occupazionale. Dai percorsi di upskilling e reskilling conseguenti a processi di riorganizzazione, alla formazione continua, fino ad arrivare agli strumenti di outplacement e di inserimento, per ridurre lo skill mismatch che, tra i giovani e i profili con competenze tecnico-scientifiche, veleggia intorno al 40%.

Per le imprese le politiche attive, nell’accezione più ampia, rappresentano uno strumento fondamentale per gestire le profonde trasformazioni in atto nel mercato del lavoro sotto la spinta dell’innovazione digitale e green, di Industria 4.0, e della necessità di ripartire dalla pandemia. Con il programma Gol, Garanzia di occupabilità dei lavoratori il Governo mette sul piatto complessivamente 4,9 miliardi tra fondi Pnrr e React-Ue: ma per non sprecare le risorse bisogna superare ritardi e nodi storici delle politiche attive, che scontano profondi squilibri territoriali (con il Nord dove funzionano meglio, e il Sud più in difficoltà) e l’inefficienza dei centri pubblici per l’impiego.

A fotografare lo stato dell’arte e tracciare le nuove prospettive per le politiche attive del lavoro è una ricerca condotta da Assolombarda, assieme ad Adapt, che viene presentata oggi a Milano ed ha coinvolto 46 aziende, che occupano 25.812 lavoratori,

«Serve una nuova cultura delle politiche attive - sottolinea al Sole-24Ore, il presidente di Assolombarda, Alessandro Spada -. Dobbiamo passare dal concetto di tutela del posto di lavoro a quello della tutela dell’occupabilità delle persone. Il sostegno al reddito è sicuramente importante e deve agevolare le discontinuità che i lavoratori si trovano a dover affrontare. Ma proteggere un lavoratore deve significare innanzitutto favorirne l’occupabilità e questo avviene attraverso la formazione continua e il reskilling, coerente con le competenze richieste da un mercato del lavoro in continua trasformazione. La vera sfida è passare dalla cultura dell’assistenza al valore del lavoro. In questa direzione e con l’obiettivo di ridurre il mismatch tra domanda e offerta del mercato del lavoro, dobbiamo puntare, anche grazie al Pnrr, a creare delle politiche attive che siano uno strumento realmente efficace per la ricollocazione e la mobilità professionale. È un traguardo raggiungibile solamente attraverso una forte integrazione tra pubblico e privato, con il coinvolgimento e la collaborazione di tutti gli stakeholders del territorio. Forme di concertazione a livello locale sono essenziali per sviluppare azioni e progetti concreti per l’orientamento, la formazione, l’intermediazione e il supporto nella ricerca di lavoro».

Dal campione di imprese oggetto dell’indagine è emerso che l’obiettivo delle politiche attive dovrebbe essere principalmente riqualificare le persone, ma nella realtà queste, per come attuate, intervengono quando è già troppo tardi. Si auspicano interventi di politica attiva che operino in una logica di lungo termine, opportunamente finanziata da tre soggetti (azienda, pubblico e beneficiario). Per questa ragione le aziende interpellate considerano l’attuale sistema di politiche attive inadeguato a far fronte ai bisogni delle grandi imprese, in particolare multinazionali. La maggior parte degli interventi in queste imprese sono organizzati internamente nell’ambito di policy aziendali o di gruppo, ed è raro che ci sia collaborazione con l’esterno per gestire le transizioni dei lavoratori. L’auspicio è che vi sia un intervento volto a coordinare i rapporti tra le aziende, attraverso la creazione di network per la gestione delle mobilità esterne.

Tutte le imprese partecipanti ai focus group manifestano insoddisfazione per il ruolo dell’attore pubblico nel supportare le transizioni occupazionali delle persone in ingresso, all’interno dell’azienda, e soprattutto in uscita. L’outplacement è un processo tipicamente organizzato e gestito dall’azienda, con il supporto in alcuni casi di servizi privati specializzati, e prevalentemente finalizzato ad accompagnare il lavoratore all’uscita, più che ad assicurargli una efficace ricollocazione. I manager interpellati segnalano la necessità di un maggior coinvolgimento del sindacato in confronti proficui sul tema delle competenze dei lavoratori, visto con diffidenza a dispetto delle dichiarazioni di principio anche in sede di contrattazione. Nelle esperienze delle aziende partecipanti, molto sentita è l’esigenza di un maggior ingaggio del sindacato in progetti di riqualificazione dei lavoratori, soprattutto nelle situazioni di riduzione del personale, dove il focus delle trattative il più delle volte si concentra sugli strumenti di politica passiva. Tutti i partecipanti hanno testimoniato il forte interesse delle aziende per la formazione e l’emergere di bisogni di qualificazione e riqualificazione dei lavoratori che le grandi imprese fronteggiano internamente, con progetti formativi in molti casi finanziati dai fondi interprofessionali.

Tra le proposte: le politiche attive vanno co-progettate e co-gestite a livello locale aprendo al contributo delle agenzie per il lavoro. Occorre una condivisione di dati e analisi, un rafforzamento dei servizi alle imprese, e la promozione di strumenti di politica attiva mirati nell’accompagnamento professionale dei lavoratori in diverse fasi della vita lavorativa, integrando, sul modello del Fondo Nuove Competenze, l’intervento pubblico con l’azione dell’autonomia collettiva.

«Dobbiamo lavorare - continua Alessandro Spada - per rendere strutturale una strategia di politica attiva che sia negoziata per favorire i processi di crescita occupazionale e produttiva della nostra economia. La contrattazione collettiva potrebbe costituire un nuovo strumento non solo per tutelare le persone nelle diverse fasi di transizione occupazionale ma anche per promuovere percorsi di formazione per i lavoratori e per imprenditori e manager. Serve una riforma complessiva del mercato del lavoro, che metta al centro le competenze: abbiamo il dovere di farlo verso noi stessi e verso le prossime generazioni».

Sotto la lente

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