Contrattazione

Meno rischi se le causali collettive sono precise

di Giampiero Falasca

Il sistema delle causali dei contratti a termine é per sua natura destinato a creare problemi, perché enfatizza l’elemento che più di ogni altro produce contenzioso: la discrezionalità di giudizio. Imporre l’obbligo di spiegare la “ragione” produttiva del ricorso a un rapporto a termine significa, infatti, consegnare al giudice un compito ingrato: valutare caso per caso se una causale è meritevole di tutela o no, senza dargli parametri certi per formulare tale giudizio.

La capacità delle causali di generare contenzioso si è vista durante la lunga stagione di conflitti giudiziali che ha seguito la legge Biagi del 2003 e il Dlgs 368/2001, nati con intenzioni ben diverse. L’ampia discrezionalità lasciata alle parti di scrivere la causale non è piaciuta alla giurisprudenza, che ha annullato migliaia di contratti, per motivi ragionevoli ma spesso contraddittori: la stessa dicitura è risultata valida in un tribunale e nulla in un altro. Questa situazione ha spinto il legislatore del Jobs Act a compiere una scelta saggia e sacrosanta: cancellare le causali, affidando il controllo degli abusi a indicatori numerici e oggettivi, come la durata massima e la soglia quantitativa, che per loro natura sfuggivano all’incertezza che accompagnava le causali. Questo intervento ha fatto crollare il contenzioso senza causare alcun incremento sensibile del ricorso al lavoro a tempo determinato.

Nonostante questi buoni risultati, il populismo che spesso anima le questioni del lavoro ha prodotto una controriforma, il decreto “Dignità” del 2018, che ha reintrodotto un numero chiuso e ristretto di causali per i datori di lavoro intenzionati a rinnovare un rapporto oppure a prorogarlo dopo i primi 12 mesi.

Questa riforma non ha prodotto un aumento delle stabilizzazioni. Anzi, ha rallentato i percorsi di inserimento lavorativo, tanto che il legislatore, nei vari provvedimenti emanati per favorire la ripresa economica dopo la pandemia, ha più volte “sospeso” l’operatività delle casuali.

La scelta della legge di conversione del decreto Sostegni bis, nel luglio scorso, di consentire ai contratti collettivi di scrivere causali aggiuntive va valutata con cautela: può aiutare a superare l’eccessiva rigidità delle causali del decreto “Dignità”, ma solo a patto che non diventi, contro la stessa volontà delle parti sociali, il viatico per riportare il contenzioso dentro le aziende.

Per evitare che questo accada, bisognerà scrivere causali collettive molto precise e ricordare che la giurisprudenza ha sempre considerato essenziale il requisito della specificità: non è mai stato ritenuto sufficiente riportare nel contratto di lavoro la causale definita dalla legge, ma è sempre stata richiesta la sua attualizzazione rispetto al singolo rapporto. Per prevenire nuovi contenziosi sarebbe bene seguire questo approccio anche per le causali che saranno definite dalle parti sociali.

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